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30 anni di Internet in Italia

Sono passati 30 anni da quando il Centro universitario di Pisa si è connesso alla stazione di…
 

Sono passati 30 anni da quando il Centro universitario di Pisa si è connesso alla stazione di Roaring Creek in Pennsylvania. Oggi la rete è diventata centrale per le professioni, i diritti dell’uomo, il senso di appartenenza e di partecipazione


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Il 30 aprile di 30 anni fa Stefano Trumpy, Luciano Lenzini e Antonio Blasco Bonito si sono collegati ad Arpanet dal Cnuce di Pisa. Un viaggio di pochi bit, andata e ritorno via satellite, che hanno aperto un’epoca. Non c’era, e non poteva esserci, perfetta coscienza di ciò che stava accadendo e di ciò che quel viaggio simbolico avrebbe rappresentato, anche perché la rete, così come disegnata e concepita, era un circuito nato per scopi militari e allargato in seguito ad alcune università. Gli unici backbone europei, all’epoca, erano in Norvegia, nella Germania Ovest e nel Regno Unito, l’Italia è stata quindi una tra le prime nazioni europee ad affacciarsi alla rete.

Partita in prima fila, con il passare degli anni l’Italia ha perso posizioni: portare Internet in Italia non è impresa facile, perché da noi oltre il 50% dei comuni ha meno di 15mila abitanti e la popolazione, distribuita a macchie sul territorio, non ha incentivato gli operatori a fare grandi investimenti. Un male che si è verificato sin da subito tant’è che il Cnuce, per ottenere i primi soldi utili a tracciare il sentiero che avrebbe portato Internet in Italia, ha impiegato 4 anni, in parte spesi a trovare un accordo tra la Sip e Italcable.

I primi provider
Quella del 30 aprile è una data simbolica, riconosciuta oggi e passata inosservata all’epoca. Il Cnuce mandò ai giornali un comunicato stampa e solo qualche testata lo pubblicò, complice però il disastro di Chernobyl, avvenuto qualche giorno prima, che godeva di tutta l’attenzione dei media. La parola Internet era già sulla bocca di molti da diverso tempo ma sarebbe diventata ufficiale solo tre anni dopo. Nel 1990 è tutto un fiorire di service provider: Agorà, Mc-Link, Galactica solo per citarne alcuni. Pochi mesi dopo è la volta della dorsale europea Ebone e, nel 1993, appaiono prepotenti Vol di Nichi Grauso e Tol (Telecom online). La prima vera rivoluzione è del 1994, quando I.Net si propone come primo provider italiano per il mercato professionale, lanciato da Marco Negri e Stefano Quintarelli, che oggi siede alla Camera. Ed è con lui che approfondiamo il rapporto tra Internet e l’Italia.

Il mercato italiano
Alla vigilia del piano per la banda ultra larga, abbiamo chiesto proprio all’On. Stefano Quintarelli cosa aspettarci sia dall’infrastruttura sia dalla cultura Internet: “In molte zone c’è più offerta che domanda, c’è più infrastruttura di quanto il mercato ne chieda. Non la sfruttiamo perché siamo anziani, non parliamo inglese. Prima dei 55 anni abbiamo una penetrazione e un uso di Internet superiore alla media europea. Sopra i 55 anni i numeri crollano, abbiamo una fetta di popolazione che rappresenta gli esclusi digitali. Governo e imprese devono fare ognuno la propria parte e la scuola, con il piano digitale, deve aiutare a vincere la sfida della cultura, perché chi è digital-diviso culturalmente lo è a casa e al lavoro. Bisogna anche insegnare ai docenti come usare le tecnologie a supporto della didattica con nuove metodologie. Le aziende devono capire che, quando si parla di internet, il passato non è più una linea che traccia il futuro. Cambiano i modi di interagire con clienti, fornitori e collaboratori e cambia il modo di fare mercato. Per questi motivi chi fa impresa deve adottare un’altra mentalità».

Internet e l’Italia
La velocità di connessione media spinge l’Italia in penultima posizione nella zona UE. Il digital-divide dei 2 Mbps sembra ormai risolto, ma è un dato quasi insignificante davanti alla sfide che porterà la banda ultralarga, il cui progetto parte ufficialmente a fine mese, 15 anni dopo l’arrivo dell’Adsl.

La banda ultra larga ha il compito di unire il Paese e di proiettarlo nel pieno del cambiamento digitale, pilotato da internet e dalle nuove tecnologie a questa legate. Il progetto riguarda però l’infrastruttura, altro capitolo è la cultura.

L’IoE, così come l’industry 4.0, i Big data e le relative analisi, creeranno scompiglio nel mondo del lavoro, decimando alcune figure professionali e creandone di nuove. Questo passaggio, delicatissimo, deve essere supportato da tutti gli attori, a partire dalla scuola fino alle imprese, passando per la cosa pubblica.

Per comprendere meglio come accompagnare il passaggio culturale, abbiamo chiesto il supporto dell’Ing. Agostino Santoni, amministratore delegato di Cisco Italia. “Entro il 2020 gli oggetti collegati alla rete saranno circa 50 miliardi, occorre comprendere che al centro ci sarà sempre la persona. Internet e i servizi che questa offre sono fatti di infrastrutture, capacità e competenze”.

Quindi è importante creare l’infrastruttura e, da questo punto di vista, si ha la sensazione che il piano per la banda ultra larga sia ben concepito e architettato ma, per dare agli sforzi un senso di compiutezza, vanno coltivate anche le competenze. “Le nuove forme di capacità si pongono come orizzontali”, continua Santoni: “Ecco perché investiamo nelle università e negli istituti tecnici ed è importante che a nessuno venga preclusa la possibilità di affrontare il futuro, motivo per il quale portiamo cultura e formazione anche nelle carceri”. Cisco ha stretto una collaborazione con il governo, un patto da 100 milioni di dollari in 3 anni, in gran parte destinati alla formazione e alla cultura.

Le sfide future
“Semplicità d’uso e di accesso”: queste le regole fondamentali individuate dall’Ing. Santoni. “Per portare la cultura digitale in ogni casa, in ogni ufficio pubblico o privato che sia, bisogna proporre tecnologie facili da usare. Dobbiamo concentrarci sul Paese che vogliamo essere e i player hanno il compito di spingere al cambiamento, con facilità di accesso ad esempio alla sanità e ai servizi erogati dalle PA”.

Fattori abilitanti saranno privacy e sicurezza, ancora una volta figlie di una cultura digitale che deve ancora pervadere il Paese. “L’innovazione corre più veloce delle policy”, conclude Santoni:“Ecco perché governi e organizzazioni devono lavorare compatti per trovare soluzioni e creare norme che tutelino i cittadini”.

fonte: wired.it

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