autopredicazione

Il Problema del TERZO UOMO: Regressus in Infinitum e il Paradosso della Ragione (quinta parte)

In maniera semplicistica l’assunto della non identità recita che gli enti empirici non sono le Idee. Questo può essere inteso in forma “forte”…
 

Il problema del terzo uomo: regressus in infinitum e il paradosso della ragione (quinta parte)

Vedi le altre parti dell’articolo di Nicola Carboni  “Il problema del terzo uomo: regressus in infinitum e il paradosso della ragione”

La non identità

In maniera semplicistica l’assunto della non identità recita che gli enti empirici non sono le Idee. Questo può essere inteso in forma “forte” ovvero che se x è p → x non può essere P oppure in forma “debole” ovvero che nessun particolare è p in virtù di se stesso, ma per via della sua partecipazione a P che, contrariamente, essendo in sé e per sé, è essente in maniera autonoma e separata rispetto agli enti. La non-identità è quindi presupposta nell’ipostatizzazione dell’universale, la separazione ontologica del predicato dalle cose.

L’autopredicazione

Se la Forma separata realizza in modo assoluto l’essenza espressa nel predicato, allora è essa stessa suscettibile di partecipare a quella stessa predicazione, ossia si auto-predica (autopredicazione). A favore di questa lettura vengono incontro alcuni passi dei vari dialoghi platonici dove, ad esempio la Santità è essa stessa definita “santa” [Eutifrone 6e3-6]; la Bellezza, bella [Fedro 100c4-8]; la Giustizia, giusta [Protagora 330c5-6]. Che l’Idea P debba essere essa stessa la proprietà che in essa si universalizza deriva anche dal principio di estensione della causa, secondo il quale la causa deve possedere la proprietà presente in ciò di cui è causa. Se, ad esempio, l’Idea di Bellezza è ciò per cui le cose belle sono belle, è inevitabile che la Bellezza, in quanto causa di ciò che è bello, sia bella. I particolari possiedono in modo imperfetto il carattere che le Idee possiedono in modo assoluto e perfetto. Solo la Bellezza è bella in modo assoluto, gli enti belli sono tali in maniera relativa in virtù del grado in cui si avvicinano all’Idea di cui partecipano, ma mai potranno essere totalmente belli. Il grado di attribuibilità di una proprietà però dipende dallo status ontologico dell’ente. Questo significa che solo P può essere definita propriamente p, perché solo in P, in quanto ontologicamente essente al massimo grado, p può esservi in maniera eminente. Dopo aver definito cosa sia il problema del terzo uomo e aver mostrato su quali presupposti teoretici esso si fondi, resta da indagare sulla legittimità elenctica della tesi argomentata da Parmenide. Il regressus in infinitum è una aporia insita nella teoria delle Idee oppure è frutto di una interpretazione parziale che, spingendosi oltre Platone, ne travisa il senso? Se leggessimo il problema del terzo uomo in modo genuinamente platonico, la dimostrazione parmenidea mostra una debolezza strutturale in riferimento al rapporto fra Idea e particolari laddove invita a considerare il “grande in sé” e le cose grandi, ώσαύτως (hosautos) allo stesso modo  non tenendo conto della fondamentale differenza ontologica. Questo è un errore inammissibile perché nel sistema platonico, ontologia e logica non possono essere scissi. Nell’Idea viene realizzato a livello ontologico l’aspetto predicativo descritto dal livello logico. La Bellezza è bella per essenza, non per partecipazione; pertanto l'”è” nella frase “La Bellezza è bella” deve essere intesa in senso identitario e non predicativo. L’origine del regresso sta nella confusione fra identità e predicazione nel momento in cui non viene riconosciuta la peculiare natura ontologica dell’Idea limitandola al campo logico-semantico.

Nicola Carboni

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