Emozioni del corpo ed emozioni della mente: la FotoTerapia psicocorporea

Emozioni del Corpo ed Emozioni della Mente: la FotoTerapia PsicoCorporea

Nel colloquio di aiuto perché non riadattare, riconsiderandolo e rivalutandolo, l’uso del selfie?…
Che cos’è la FotoTerapia?…
Le istantanee fotografiche raccontano…
 

Emozioni del Corpo ed Emozioni della Mente:
la FotoTerapia PsicoCorporea

Il legame significativo corpo-mente può essere approfondito partendo dal risveglio di ricordi emozionali e dalla manifestazione di affetti primari provocati ed evocati da pratiche non esplicitamente verbali. In psicoterapia e nel counseling gli interventi verbali da soli, spesso, possono non essere sufficienti. Il professionista deve ricorrere ad altre strategie, deve risvegliare i ricordi corporei del cliente, perché, come afferma Judy Weiser, i ricordi sono sia nel corpo sia nella mente.

Una foto è un potente strumento di comunicazione davanti al quale i professionisti dell’ascolto e dell’aiuto e il cliente restano in silenzio per guardare assieme la profondità abitata, come Musacchi definisce le storie, le emozioni e le memorie che ogni foto sa rievocare e fa ricostruire, sospendendo per un lasso di tempo imprecisato il giudizio. Davanti a una foto si parla poco, si fa parlare piuttosto l’emozione presente, il corpo, la mente, ma solo dopo aver visto o intravisto (l’infra-lettura cinematografica e fotografica) i significati che da essa emergono come rivitalizzati. Alle verità delle storie che le foto raccontano bisogna avvicinarsi per gradi, osservando e riflettendo (Husserl e Heidegger insegnano), e astenendosi per un attimo dal definire e dal dare un senso a cose e fatti rievocati per potervi accedere in modo più obiettivo [Qui l’arte della fotografia pare sintetizzare il sehen (vedere) fortemente connotato dalla psicologia del profondo del primo romanticismo tedesco (i lirici notturni di Novalis, l’estetica della musica di Wackenroder, l’occhio interiore e modernissimo dei quadri di Caspar David Friedrich) con la scanzonata e liberatoria Schaulust (il piacere di guardare) del secondo romanticismo (i racconti di Eichendorff, le favole di Tieck, già meno quelle dei fratelli Grimm)].  Le immagini riflesse sulla superficie di una foto sono dettagli che rimandano a relazioni emozionali; ognuna di esse, raccontando la storia personale, fa emergere l’interdipendenza tra significato esplicito ed esperienza implicita affettiva, emotiva, recondita, ovvero rivela significati esistenziali profondi.

Che cos’è la FotoTerapia?

Scrive Musacchi: “La FotoTerapia è una modalità di lavoro che utilizza le foto portate dal cliente o offerte dal terapeuta come stimoli per promuovere processi di esplorazione e conoscenza di sé finalizzati al cambiamento. La FotoTerapia è utilizzata in psicoterapia e nel counseling come metodologia di lavoro esperienziale” (p.19).

L’uso delle foto e delle immagini come riferimento emozionale trova precursori illustri tanto per la psicoterapia quanto per il counseling, ad esempio Carl Rogers, oppure Jacob Moreno. Le reazioni delle persone all’immagine fotografica rivelano molto della loro vita interiore. Guardare una foto è come guardarsi allo specchio, è vedere le varie identità in movimento e in trasformazione nel tempo. Viviamo l’epoca dei dispositivi digitali che sembrano affermare il predominio dell’immagine sulla parola. Molti scatti, molte istantanee riescono a catturare le immagini-chiave della vita di ognuno, ma come già sottolineato in precedenza e in accordo con lo psicoterapeuta Oliviero Rossi (2009), è impossibile presentarsi agli altri se non narrandosi.
Guardare una foto significa risvegliare emozioni e vissuti proiettando su di essi significati del momento presente: la foto narra mentre viene descritta, e questa narrazione per lo più verbale apre scorci profondi sulla vita interiore, dà una forma alle vecchie e alle nuove (attuali) identità. La foto contiene una storia già esistente ed esistita ma gesti, emozioni facciali e narrazione attualizzando le immagini aumentano la consapevolezza di ciò che si è, definiscono la visione del mondo di quel preciso momento, e nella migliore delle ipotesi, danno coerenza ai sentimenti e placano le emozioni negative.
Quando il cliente racconta nei dettagli ciò che ha vissuto, ciò che sta proiettando e ciò che si augura, consente al counselor che lo sta ascoltando di entrare emozionalmente nel tessuto narrativo-espressivo e così di avvicinarsi un po’ anche alle soluzioni.

Le istantanee fotografiche raccontano impietosamente i cambiamenti corporei: postura, colorito del viso, tensioni muscolari, movimenti delle mani.

Counselor e cliente, in un clima di assoluta accettazione e fiducia, ascoltano i riverberi emozionali che il dialogo (anche silenzioso) con le immagini riesce a produrre. Non si tratta solo di memoria autobiografica ma sensoriale, implicita, esplicita. Le persone che riescono a mantenere un contatto diretto, consapevole con l’esperienza del corpo, si descrivono in modo positivo, comunicano positività come fossero coscienti che ogni cambiamento non colpisce solo le forme corporee ma, contemporaneamente e parallelamente, anche il modo di pensare.

Nel colloquio di aiuto allora perché non riadattare, riconsiderandolo e rivalutandolo, l’uso del selfie?

Si pensi alle ‘istantanee’ che di loro stessi ci hanno lasciato artisti eccelsi come Rembrandt o Dürer e alle tante informazioni storiche, sociali e psicologiche e alle narrazioni che contengono. L’autoscatto in forma di autoritratto esprime sempre un diretto confronto con se stessi, fa emergere determinati atteggiamenti sociali, esistenziali, temporalmente e contestualmente collocati tanto da attivare profondi processi di elaborazione interiore. Quindi, non più selfie informativo ma comunicativo in quanto concretizzazione dell’immagine di sé nel momento presente. Il counselor accompagna il cliente nella visualizzazione dell’immagine interna evocata per favorire spontanee elicitazioni e inferenze attive e propositive facendogli dare un titolo all’immagine-chiave, facendogli descrivere e narrare la simbologia del corpo, individuando colori, profumi, odori, elencando ciò che eventualmente manca e invece avrebbe dovuto esserci. Il selfie come sguardo consapevole interiore, come sperimentazione dell’accettazione di sé.

Alessandro Bigarelli

 

BIBLIOGRAFIA

    • Musacchi, R. (2016). FotoTerapia psicocorporea. Milano: Franco Angeli.
    • Rossi, O. (2009). Lo sguardo e l’azione. Roma: Edizioni Universitarie Romane.
    • Weiser. J. (2013). FotoTerapia. Milano Franco Angeli.

0 comments on “Emozioni del Corpo ed Emozioni della Mente: la FotoTerapia PsicoCorporeaAdd yours →

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.