ZELIG di Woody Allen - I DILEMMI dell’uomo MASSIFICATO di Nicola Carboni

ZELIG di Woody Allen – I DILEMMI dell’uomo MASSIFICATO

Cosa accadrebbe se un essere umano, per conformarsi, avesse la capacità di diventare l’altro, non solo imitando il modo di parlare e di comportarsi, ma assumendone anche le fattezze fisiche rendendo plasmabile la sua…
 

Zelig di Woody Allen – I dilemmi dell’uomo massificato

All in all you’re just another brick in the wall
Another brick in the wall – Pink Floyd

«Avevano le stesse idee, o la stessa mancanza di medesime»
Arancia Meccanica – Anthony Burgess

Qualsiasi dizionario della lingua italiana definisce il termine “persona” come “l’individuo della specie umana senza distinzione di sesso, età, condizione sociale etc, considerato sia come elemento a sé stante sia come facente parte di un gruppo e di una collettività”. Talvolta l’uso dei termini ha una storia alquanto bizzarra; originariamente per persona si indicava la maschera teatrale grottesca, ricavata da cortecce di alberi, usata nei Fescennini, le rappresentazioni preletterarie tipiche del mondo agreste che costituiscono la fase embrionale del teatro romano. Lo stesso termine che definisce l’autenticità dell’individuo, originariamente, indicava l’esatto opposto, il nascondersi, la simulazione, l’attività mimetica [dal greco μιμησις (mimesis) rappresentazione, imitazione]. Vita e teatro si fondono; vivere e recitare nella grande rappresentazione della vita, molto spesso, hanno confini assai labili. «All the world’s a stage, And all the man and woman merely players» [Tutto il mondo è un palco e tutti gli uomini e tutte le donne sono soltanto attori] disse Shakesperare in As you like it (Atto II, Scena VII, Linea 139); «nei lamenti come nelle tragedie e nelle commedie, non solo sulla scena, ma anche nell’intera tragedia e commedia della vita, e anche in infiniti altri casi, dolori e piaceri si mescolano insieme» [Platone, Filebo 50b 1-5].

In Verità e menzogna in senso extramorale F. Nietzsche definisce l’uomo come l’animale mimetico per eccellenza, per il quale “il mentire”, “il fingere”, “il rappresentare”, “il mascherarsi”, “le convenzioni”, “il recitare una parte dinanzi agli altri e a se stessi”, sono parti essenziali dell’esistenza e della sopravvivenza, al pari del camaleonte che, per sfuggire al predatore, assume le sembianze dell’ambiente circostante eliminando, di fatto, le differenze e la sua individualità che, se mantenuta, lo renderebbero una facile preda. Il conformarsi è  una raffinata forma di mimesis.

Cosa accadrebbe se un essere umano, per conformarsi, avesse la capacità di diventare l’altro, non solo imitando il modo di parlare e di comportarsi, ma assumendone anche le fattezze fisiche rendendo plasmabile la sua identità? Questa è la domanda di fondo di Zelig, film scritto, diretto e interpretato da Woody Allen e uscito nelle sale cinematografiche nel 1983.

Si tratta di un mockumentary, una parodia dei film documentari. Nell’America degli anni 20 la “Star” del momento è Leonard Zelig (in lingua yiddish “benedetto”), affetto da una strana malattia che si manifesta appunto nella trasformazione dei tratti psichici e somatici della persona con la quale interagisce. L’uomo-camaleonte, come viene soprannominato dalla stampa, diventa una vera e propria moda, attraverso canzonette, balli a lui dedicati. Viene “salvato” dalla psichiatra Eudora Fletcher (interpretata da Mia Farrow, ai tempi compagna reale di Woody Allen) che si innamora di lui.

Bruno Bettelheim, presente nel film nel ruolo di se stesso, fornisce una chiave di lettura molto pertinente “Se Zelig fosse psicotico o solo estremamente nevrotico, era un problema che noi medici discutevamo in continuazione. Personalmente mi sembrava che i suoi stati d’animo non fossero così diversi dalla norma, forse quelli di una persona normale, ben equilibrata e inserita, solo portata all’eccesso estremo. Mi pareva che in fondo si potesse considerare il conformista per antonomasia”. Zelig rappresenta, come detto nelle prime battute del film, il carattere della società di massa. Si muove nell’America degli anni 20 in cui le folle reclamano il loro peso nella vita sociale e politica; è l’America del taylorismo, del fordismo, dell’inizio della produzione in serie; è l’America del Charleston, delle sale da ballo; è l’America dell’industria culturale, della cultura (o anticultura) usa e getta. La massificazione va di pari passo con conformismo, con distruzione e livellamento (verso il basso) delle differenze. È l’heideggerriano “mondo del Si” de-responsabilizzato e de-responsabilizzante nel quale ogni “io – dico” si trasforma in “si dice”, ogni “io – penso” in ” si pensa” (parodia del pensiero stesso), l’elevazione a virtù dell'”istinto del gregge” nel quale la parola diventa belato,  e le idee, slogan. Zelig, l’uomo mutaforme e quindi multiforme diventa l’emblema di questo tipo di società. Già Platone ne “La Repubblica” paventava le conseguenze dell’arte imitativa (poesia, commedia, tragedia, pittura, scultura), da un punto di vista epistemico in quanto lontana tre volte dalla Verità in quanto copia delle “cose reali” a loro volta copia delle Forme, e, dal punto di vista pedagogico, in quanto creatrice di uomini doppi se non multiformi.

La massa offre un tipo di sicurezza che nasce dall’invisibilità; perdersi tra la folla, entrandone a far parte, offre la protezione dell’anonimato. Un proverbio ebraico recita: Il miglior posto dove nascondere un albero è in una foresta. Essere nascosti in bella vista rappresenta la più raffinata arte del mimetismo offerto dalla società di massa e dei consumi di massa.

Leonard Zelig vuole essere amato e accettato (il bisogno di appartenenza nella piramide dei bisogni di Maslow viene subito dopo i bisogni fisiologici e di sicurezza) e, per ottenere questo, annulla la sua individualità. Questa è la scelta più comoda, meno dispendiosa e apparentemente più sicura. Assumersi la responsibilità dell’essere se stessi implica sforzo, contrasti, espone a pericoli, richiede una buona dose di coraggio. In latino esiste un termine (che l’evoluzione linguistica ha poi banalizzato) per definire tutto questo: l’essere egregius ovvero colui che è uscito fuori ‘ex’ dal ‘grex’, il gregge per affrontare, come l’Ulisse dantesco, un salto nel vuoto verso l’ignoto, per uscire, come direbbe Kant, da uno stato di minorità, dalla massa indifferenziata e togliere la “persona”, la maschera, per essere un individuo.

L’essere individuo non è un già-dato, ma una conquista, forse la più grande conquista a cui un essere umano dovrebbe aspirare.

Nicola Carboni

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