Dipendenze e funzioni psicologiche - Articolo di Jessica Guidi

Dipendenze e funzioni psicologiche

8° articolo della rubrica “Dipendenza da smartphone. Il paradosso della solitudine”, di Jessica Guidi…
 

8° articolo per la nostra rubrica dal titolo “Dipendenza da smartphone. Il paradosso della solitudine”, curata da Jessica Guidi

Dipendenze e funzioni psicologiche

Avvinandoci al nucleo centrale del mio elaborato troveremo la definizione di Dipendenza.  

La dipendenza è uno stato della mente e in origine anche del corpo, che sottende al movimento delle nostre pulsioni verso una meta
(Freud,1915a).

La dipendenza è composta da un insieme di condizioni naturali, che stanno alla base della vita dell’uomo, e servono per rapportarsi con la realtà, per creare legami con altri e per favorire lo sviluppo armonico sia del corpo che della mente.

Bowlby (1989) affermava che la dipendenza, cioè il sapere di contare su una base sicura, prima esterna e poi interiorizzata, ci permette di poter apprendere, esplorare.

Le dipendenze, non espresse in forme patologiche, sono l’essenza stessa delle relazioni umane.

Nel corso della vita quando si sperimentano dei legami significativi entrano in gioco sentimenti conflittuali tra loro: da una parte il bisogno di legarsi senza compromettere la propria identità e, dall’altra il timore di perdere ciò che per noi è importante, e questo è fuori dal nostro controllo.

La dipendenza sana è una risorsa che può subire distorsioni e diventare fonte di sofferenza.

Le dipendenze diventano patologiche quando nel legame tra una persona ed una sostanza, o tra la persona ed un comportamento c’è compulsività.

Ogni pensiero e azione dell’individuo è dominato da un incoercibile coazione a ripetere[1], e dove il bisogno si sostituisce al desiderio e il dolore mentale rifiuta di vivere le attese e la solitudine (Freud,1920).

La Teoria dei fenomeni transizionale di Winnicott (1971) ci fornisce un modello funzionale in cui se non ben consolidato può essere una spiegazione della compulsività; l’oggetto transizionale, infatti serve al bambino per acquisire la capacità di attendere, di riuscire a stare da solo e di sopravvivere alla separazione.

Differenza tra i termini dependece e addiction

È necessaria differenziazione tra i termini dependece e addiction, il primo fa riferimento alla dipendenza fisica e chimica, a cui seguono crisi d’astinenza ed indica la situazione in cui l’organismo ha bisogno di una determinata sostanza per funzionare; il secondo termine invece, dal latino “addictus” che indicava lo schiavo legato ad un padrone, fa riferimento agli aspetti psicologici e comportamentali della dipendenza (Maddux,2000)

Il termine addiction è legato all’idea di mancanza di libertà, e si usa per le forme di dipendenza, da sostanza o comportamentale, in cui la condotta compulsiva diventa “fuori controllo”.

La compulsività nasce come complementare ad un’assenza di holding materno-ambientale, e agisce in un sistema chiuso in sé, dove viene momentaneamente sospesa la continuità del vissuto interiore.
(Abadi,1995)

Il comportamento compulsivo avviene sempre in uno stato di dissociazione con l’ambiente, cioè dissociando ciò che il pensiero sente come intollerabile, «follia transitoria» (Ferro e Riefolo,2006), sostenuta dalla coazione a ripetere.

I comportamenti di dipendenza, come le dipendenze da sostanza provocano stati di piacere che portano ad alterazioni dello stato di coscienza dell’io.

Il termine tecnico per denominare questa spinta all’azione è craving, il quale si riferisce sia a comportamenti compulsivi che impulsivi. Essi hanno in comune la perdita di controllo ma la differenza tra i due comportamenti è che: l’impulso, è ego-sintonico, prevalentemente incoscio, ed è legato all’istinto; la compulsione è per lo più ego-distonica, passa per la consapevolezza del suo dolore, al quale si cerca di resistere ma con scarsi risultati, finendo per essere invasi da un senso di frustrazione.

Questo fenomeno è descritto da molti studiosi come Jaspers (1913), Binswanger (1957), Schneider (1959), si presenta come una risposta disfunzionale della capacità di desiderare, sostituendolo con il bisogno che è vissuto dall’individuo come vuoto da riempire. Così la dipendenza patologica si configura come un tentativo di soffrire di meno. «Ogni dipendenza patologica nasconde sempre un’angoscia più profonda alla quale si cerca di far fronte» (Tonioni,2011).

L’abuso di sostanze e di determinati comportamenti provoca modificazioni dell’equilibrio cerebrale e della funzione dei neurotrasmettitori.

«La biologia ritiene che la dopamina abbia un ruolo fondamentale nel mantenimento e nel rinforzo delle condotte compulsive» (Di Chiara,2002), in quanto coinvolta in tutti gli stati eccitatori che portano alla soddisfazione di un bisogno all’interno di un circuito neurocerebrale mesolimbico, denominato reward system.

La dopamina attribuisce un valore motivazionale agli stimoli, e indirizza i comportamenti motivati predicendo la gratificazione connessa ad essi; inoltre contribuisce al consolidamento del ricordo di esperienze significative (Volkow, 2009).

La dipendenza risulta come un condizionamento dei fenomeni dell’apprendimento e del rinforzo, cioè comportamento appreso attraverso l’associazione di uno stimolo e una determinata risposta.

Anche per quanto riguarda la vulnerabilità all’addiction risulta essere multifattoriale, comprendendo sia fattori genetici, ambientali e problemi affettivi e comportamentali.

La ricerca scientifica pone alla base della componente neurobiologica e psicologica aspetti inerenti alla disregolazione affettiva e al costrutto dell’alessitimia, al greco “a” mancanza, “lexis” parola e “thymos” emozione: letteralmente «non avere le parole per le emozioni», deficit della consapevolezza delle emozioni.

Inoltre, altri fattori sembrano essere disturbi dell’attaccamento, tendenza alla dissociazione, tratti compulsivi-impulsivi ed esperienze traumatiche.


[1] Al di là del principio di piacere, Freud 1920

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