Identità e alterità. Il rapporto umano/androide in Blade Runner

Identità e alterità. Il Rapporto umano/androide in Blade Runner

Non può esistere un “altro da sé” senza un sé. Alla domanda “chi è l’altro?” segue immediatamente “chi sono io?” quale è il mio senso di identità e come si rapporta…
 

Identità e alterità.
Il Rapporto umano/androide in Blade Runner

Se un orologio non indica le ore correttamente perché costruito male, non perciò esso – fatto come è di ruote e pesi – osserva meno le leggi della natura che un orologio che risponda appieno ai desideri di chi l’ha costruito.
Parimenti – considerando che il corpo dell’uomo è un meccanismo, composto di ossa, nervi, muscoli, vene, sangue e pelle, costruito in modo che, anche se non vi fosse affatto una mente, avrebbe tuttavia tutti i movimenti che ora non procedono dai comandi della volontà e quindi non procedono dalla mente
Cartesio, Meditazioni metafisiche, VI Meditazione

Il rapporto con l’altro

Mentre l’Italia era ancora inebriata dal trionfo nei campionati mondiali di Spagna sostituendo nell’immaginario collettivo l’urlo di Munch con l’urlo di Tardelli, nel fatidico 1982 uscivano nelle sale cinematografiche tre film che avrebbero segnato un’epoca: “ET” di Steven Spielberg, “The Thing” di John Carpenter e “Blade Runner” di Ridley Scott. Il trait d’union è il rapporto con l’Altro sia che esso assuma la forma dell’alieno, della “cosa” mutaforme indefinita e indefinibile o dell’androide, a prima vista indistinguibile dall’essere umano. Non può esistere tuttavia un “altro da sé” senza un sé. Alla domanda “chi è l’altro?” segue immediatamente “chi sono io?” quale è il mio senso di identità e come si rapporta all’alterità? Per usare una terminologia di Edmund Husserl, quale è il rapporto fra Ego e Alter-Ego?

Chi sono io?

Domanda apparentemente facile, banale, ovvia. Per inciso non vale la deriva narcisistica da Marchese Onofrio del Grillo di sordiana memoria. Si potrebbe dire: sono un essere umano. Certo, ma cosa è l’uomo al di là o al di sopra della base naturalistica e biologica che lo ascrive al regno animale? Quale è, come direbbe Aristotele, “la differenza specifica” che fa sì che l’uomo possa essere definito uomo”? Qui aumenta la complessità. Nel corso della storia del pensiero son state date molteplici risposte, nessuna delle quali esaustiva; si passa, per citarne alcune, da “uomo animale sociale” aristotelico, all'”uomo animale simbolico” di Ernst Cassirer, all’ “uomo cercatore di significato” dello psicologo austriaco Viktor Frankl.

che cosa sono?

Riponiamo la domanda: “che cosa sono?” In cosa posso poggiare il mio senso di identità tale che possa dire “Io sono” e contemporaneamente distinguere l’Io dal non-Io? La risposta di Cartesio è arcinota “Cogito ergo sum”, “penso dunque sono”. Sono una cosa che pensa. Arriva la “pesata” filosofica: nulla posso pensare senza pensarmi come colui che lo pensa. Nell’atto di pensare ho la certezza di essere. Nel Cogito cartesiano, nella scoperta della Coscienza come atto autoriflessivo e autoreferenziale, c’è la nascita della filosofia moderna come filosofia del soggetto.

Sono certo della mia esistenza, mi è autoevidente come atto di pensiero. E per tutto quello che non sono io, che non ricade in questa certezza? Quale è il rapporto fra la mia Identità e l’Altro? E dove va a finire l’aspetto materiale, corporale? Partendo dal Cogito è inevitabile un dualismo corpo/mente o, in termini cartesiani, res extensa/res cogitans; un aspetto materiale che è definito in termini di puro meccanicismo esemplificato dall’analogia fra corpo umano e orologio.

Cogito

Come dobbiamo intendere il Cogito alla luce della contemporanea IA (Intelligenza Artificiale) che trae origine proprio nella teoria meccanicistica?

Nel 1950 Alan Turing, il “padre” dei moderni computer, ideò un test ipotetico per stabilire se una macchina potesse definirsi pensante. Un intervistatore pone delle domande a delle entità incognite nascoste alla sua vista (sia esseri umani che calcolatori) che forniscono risposte per iscritto. Fino a quando l’intervistatore riesce a distinguere quali siano le risposte dell’uomo da quelle della macchina, la macchina non ha passato il test. Quali sono le conseguenze a livello filosofico qualora un artefatto riuscisse a superare il test di Turing? Se, a livello di pensiero non fosse possibile distinguere l’umano dalla macchina, come dovremmo intendere il concetto di identità e di differenza? Questo è il punto di partenza di Blade Runner.

Blade Runner

Tratto dal romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep del padre del movimento letterario del cyberpunk Philip Dick, è ambientato in un futuro distopico nel quale, a causa dell’inquinamento e della sovrapopolazione, l’umanità ha dovuto abbandonare il pianeta Terra per cercare salvezza nel cosmo fondando colonie in altri pianeti. Sulla Terra sono rimasti i malati e coloro che erano troppo poveri per poter pagare un viaggio interstellare. Gli androidi o replicanti, vengono fabbricati e utilizzati come forza- lavoro nelle colonie extra-terrestri per i compiti più pericolosi, la cui durata di vita è di 4 anni. Sei di questi si ribellano e tornano sulla Terra con la speranza di modificare la loro data di termine. Il poliziotto Rick Deckart (interpretato da Harrison Ford), agente dell’unità speciale Blade Runner, viene incaricato di rintracciare ed eliminare gli androidi.

Copia perfetta

Se gli Androidi sono copie perfette dell’essere umano, come è possibile avere la certezza di distinguere un umano da un non umano, la copia dal modello?

Se limitassimo il pensiero alla sola funzione logico-matematica, ovvero a quella componente che la filosofia ha definito “pura”, l’Androide non solo sarebbe copia, ma un miglioramento del modello. L’incubo di Platone della copia che prende il posto dell’originale che aveva intravisto nella rappresentazione pittorica (si pensi ai trompe – l’oeil), diventa reale, per mezzo delle contemporanee possibilità tecnologiche, nella produzione in serie delle merci e in quella che la Scuola di Francoforte ha chiamato l’industria culturale.

All’interno di un supermercato, al cospetto di una miriade di prodotti tutti uguali per forma, dimensione, immagine, Platone sarebbe fuggito come Maculay Culkin in Mamma ho perso l’aereo. L’impossibilità della distinzione crea quella che Hegel definì nella prefazione alla Fenomenologia dello Spirito, “la notte in cui tutte le vacche sono nere”, che altro non è se non il fallimento del progetto della modernità fondata sul soggetto cartesianamente inteso.

 

Il rapporto copia-modello (e la paura dell'indistinguibilità) accompagna da sempre il pensiero umano; un caso paradigmatico è quel fenomeno antropologico e religioso chiamato iconoclastia.

Il rapporto copia-modello

Il rapporto copia-modello (e la paura dell’indistinguibilità) accompagna da sempre il pensiero umano; un caso paradigmatico è quel fenomeno antropologico e religioso chiamato iconoclastia. Giovanni Damasceno, un pensatore cristiano del VII – VIII secolo d.c, in contrasto con il movimento iconoclastico, nello scritto In difesa delle immagini sacre sottolineò come la copia riproduce l’originale mantenendo tuttavia qualche differenza, ovvero ha un rapporto di somiglianza. Cosa succede se, come nel caso di Blade Runner, questa differenza venisse meno? Se le capacità tecnologiche potessero assottigliare, fino a far sparire, tale differenza, come si dovrebbe interpretare il rapporto fra Identità e Alterità?

L’Androide

L’Androide, ciò che è fatto a somiglianza dell’ανδρος [andros] l’uomo, il replicante meccanico, ha una lunga storia. Lo troviamo nei naturalisti francesi del 1700 fautori del paradigma meccanicista dell’uomo-macchina (Le Mettrie, D’Holbach, Condillac) e nel romanticismo (il Frankenstein di Mary Shelly; Olimpia, la figura femminile de L’uomo della sabbia di Hoffmann). A questo si aggiunge la sterminata presenza dei Robot nella letteratura e nel cinema.: i Robota di Karel Capek in Rur, la Maria in Metropolis di Lang, l’opera letteraria di Isaac Asimov, i Cyberman in Doctor Who, C-3PO in Star Wars.

La tecnologia

La tecnologia è il mezzo attraverso cui l’uomo si rapporta alla natura in maniera indiretta, facendo del mondo, il suo mondo che diventa una seconda natura. La ruota e i moderni computer hanno in comune il fatto di semplificare, rendere meno faticosa la vita umana. Il processo di umanizzazione del mondo va di pari passo con la de-naturalizzazione dell’uomo. Le grandi innovazioni tecnologiche hanno dato vita a cambiamenti storici di immane portata: il telescopio per la rivoluzione scientifica del XVI secolo, la macchina a vapore per la rivoluzione industriale del XIX secolo. Noi stiamo vivendo la rivoluzione data dalla computerizzazione, da Internet e, se mi è concesso un neologismo, dalla smartphonizzazione. Android, non è così lontano da Androide. Oggi è impossibile pensare di passare una giornata senza visualizzare il cellulare, lavorare senza computer. All’indirizzo di casa (esigenza dell’uomo moderno) si è aggiunto l’indirizzo di posta elettronica (esigenza dell’uomo post-moderno), conditio sine qua non che determina il nostro essere-nel-mondo. La commistione fra umano e meccanico descritta nelle distopie dei romanzi cyberpunk di Dick, Gibson, Sterling, Ballard e in film come Terminator di James Cameron, Videodrome di David Cronenberg, Robocop di Paul Verhoeven, è già il nostro presente. Pensiamo ad esempio all’arte post-umana (definizione data da Jeffrey Deitch) che vede il corpo come un oggetto biologico su cui intervenire tramite strumenti tecnologici: la “terza mano” meccanica di Sterlac, l’antenna di Neil Harbisson, il movimento della cyber art di Moon Ribas, gli studi ingegneristici di Kevin Warwick sulle interfacce dirette fra sistemi informatici e sistema nervoso centrale, il progetto Neuralink di Elon Musk. Sulle orme dell’artista Santa Orlan si può parlare di “identità nomade” correlato di un corpo modificabile. Quanto siamo lontani dal concetto classico di corpo definito da Cartesio, nella seconda delle Meditazioni Metafisiche, come ciò che è delimitato da una figura (con la pelle che diventa il confine fra Io e non-Io), circoscritto in uno spazio e in un tempo e percepibile attraverso gli organi di senso.

L’empatia

Dal punto di vista puramente esteriore e dal punto di vista del pensiero puro, gli Androidi di Blade Runner non possono essere distinti dall’essere umano. La caccia di Rick Deckart diventa una ricerca filosofica intorno alla domanda “Che cosa è l’uomo”? Un punto focale del film è l’introduzione del test chiamato Voigt-Kampff usato per poter distinguere un umano da un replicante, che consiste nell’esaminare le reazioni oculari alla visione di alcune immagini che dovrebbero indurre risposte emotive nell’esaminato. In altre parole, misura l’empatia. L’occhio hi-tech dell’androide ha uno sguardo puro sul mondo, una mera registrazione di immagini. L’uomo invece è coinvolto in ciò che vede. L’oggetto visto non è infatti un semplice “dato” ma diventa un vissuto interiore. Usando una terminologia husserliana al Körper (il corpo -che-ho inteso nel suo aspetto esteriore e materiale) si unisce il Leib (il corpo-che-sono inteso come centro fenomenologico di vissuti coscienziali). Nel Leib, nell’interiorità, è possibile l’empatia, il penoso enigma che apre l’Ego all’Alter-Ego e che manca all’androide. Secondo Sartre dobbiamo però distinguere fra l’occhio e lo sguardo: vedere con l’occhio (la visione dell’androide) significa percepire un oggetto, guardare con lo sguardo significa confrontarsi e scontrarsi con una alterità. Lo sguardo è una relazione con l’altro e con se stessi.

Lo sguardo interiore tuttavia non ha quel carattere consolatorio dato dalla scoperta di una verità ultima come in Agostino di Ippona di carattere religioso della trascendenza o in Cartesio di carattere scientifico e filosofico della certezza. Per l’uomo post-moderno tutto si ammanta di tragicità. Morte le grandi meta-narrazioni della storia, religiose e laiche, ci si deve accontentare, al massimo, come direbbe Philip Dick, di penultime verità che lasciano un sapore amaro di incompiutezza.

Il primato della vista come strumento di conoscenza è un filo conduttore del pensiero occidentale a cui sono ancorati anche gli androidi di Blade Runner. Roy Batty, il capo dei replicanti, prima di morire, pronuncia uno dei monologhi più famosi della storia del cinema:

Ho visto cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare…e tutti questi momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”. Nella forma della conoscenza data dalla visione della “cosa”, come semplice accumulo di esperienze e nozioni, l’androide reclama la sua autonomia e la sua differenza rispetto all’uomo definendo in questo modo il “senso” dell’androide.

Il senso dell’umano sta in tutti quegli aspetti che non possono essere riprodotti meccanicamente e che proprio per questo sfuggono ad ogni possibile riduzionismo. Nella profondità della complessità che sfugge ad ogni possibile classificazione, nell’imponderabile, nella valenza emotiva delle esperienze, vi è quella ricchezza dell’esistenza senza la quale il solo pensiero sarebbe ben misera cosa.

Nicola Carboni

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