IL SENSO PERFETTO (seconda parte) Di Nicola Carboni

Il senso perfetto (seconda parte)

La completa rivalutazione gnoseologica si completa in Husserl in modo particolare nella quinta delle Meditazioni Cartesiane laddove il corpo permette alla soggettività da monadistica ed egologica di aprirsi all’esperienza dell’altro…
 

Il senso perfetto (seconda parte)

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La completa rivalutazione gnoseologica si completa in Husserl in modo particolare nella quinta delle Meditazioni Cartesiane laddove il corpo permette alla soggettività da monadistica ed egologica di aprirsi all’esperienza dell’altro. L’esperienza della tattilità, ad esempio nel toccarmi una mano con l’altra, sono allo stesso tempo “colui che sente” e “colui che è sentito”: esperienza, esperito ed esperiente si danno come una struttura unitaria. La corporeità, come già anticipato da Shopenhauer, presenta un duplice sistema: Körper (il corpo esteriore inteso nella sua materialità) e Leib (il corpo vivente, centro fenomenologico dei vissuti). L’altro si da a me inizialmente come oggetto nel suo aspetto di  Körper, un altro-per-me. Osservando il corpo altrui a partire dalle sue membra e dai suoi movimenti, per associazione, intuisco che quel corpo che vedo e che si muove, ha, come me, la capacità di percepirsi sia da un punto di vista esterno che interno. Partendo dalla mia esperienza tattile estendo la mia consapevolezza di essere  Körper e Leib anche all’Altro, che diventa un Alter-Ego. A partire dalla tattilità la soggettività si manifesta come inter-soggettività.

Il soggetto non è quindi un ego assoluto chiuso nei limiti della sua stessa funzione intellettiva (come voleva il Cogito cartesiano), ma un ente incarnato in un corpo e immerso nel mondo della vita. La nozione di corpo vivo implica l’unione fra il flusso dei vissuti soggettivi e la corporeità. In questo modo la struttura funzionale e intenzionale della coscienza si unisce alla dimensione affettiva del sentire, lo strato psicologico all’estensione corporea.

L’intenzionalità è, secondo Franz Brentano, la caratteristica principale della coscienza,  il suo rivolgersi, in ogni suo atto, ad  altro da sé che ne diventa il suo correlato oggettivo. Per ogni pensare c’è un pensato, per ogni desiderare un desiderato, per ogni credere un creduto, per ogni sentire un sentito e così via. Husserl chiama Noesi l’aspetto soggettivo dell’ atto (es. il pensare) e Noema l’elemento oggettivo (es. il pensato).

La nozione di corpo vivo, di Leib, comprende però due elementi, la materia (la carne) e l’estensione corporea (come realtà fisica cartesianamente intesa) che intrattengono rapporti diversi con il flusso degli atti della coscienza. Mentre il rapporto fra il flusso coscienziale e la materia definisce l’uomo empirico con le sue caratteristiche e i suoi stati psichici, il rapporto fra il flusso e l’estensione definisce il corpo vivo in generale.

Il problema mente-corpo si scinde in due sotto-problemi: da un lato quello naturalistico del rapporto fra coscienza e corpo materiale inteso nella sua unicità dell’incarnazione in “questo” corpo; dall’altro quello fenomenologico del rapporto fra coscienza e Leib inteso universalmente.

In altri termini si può parlare del rapporto fra un aspetto sensoriale e fenomenico, che concerne prettamente la dimensione corporea dell’avere una sensazione e un aspetto formale e intenzionale degli atti puri del pensiero. In altri termini ancora si può parlare del rapporto fra la mente funzionale e la mente fenomenica.

Per Husserl, come per Cartesio, la struttura intenzionale riflette l’essenza della coscienza entro il cui ambito non ricade il corpo senziente dotato della sua materialità che però rappresenta la condizione necessaria per avere sensazione di qualcosa nel suo vivere concreto nel mondo. Dalla descrizione fenomenologica dell’essenza della coscienza resta escluso l’uomo empirico.

Marleau-Ponty, per oltrepassare le aporie husserliane, compie un cambiamento paradigmatico di straordinaria importanza: per descrivere la concretezza dell’esperire non bisogna fare riferimento all’essenza ma alla “natura” umana. Questo coincide ovviamente con un ridimensionamento dell’analisi fenomenologica e formale dei vissuti a favore di una riconsiderazione del contenuto materiale della coscienza; non il corpo come estensione corporea ma come “carnalità”, materialità corporea che permette una rilettura capace di superare la distinzione fra l’essere una cosa che pensa (aspetto formale e intenzionale) e l’essere una cosa che sente (aspetto sensoriale e fenomenico). Nel sentire infatti la coscienza non solo si dirige verso il mondo, ma si colloca in un mondo nel quale heideggerianemente è già in quanto essere-nel-mondo.

Questa unione di mente e corpo come dato primitivo e non ulteriormente scomponibile è introdotta a livello epistemologico dalla figura del chiasma χ che esprime (anche graficamente) questo intreccio originario e che si esprime, a livello ontologico, nella carne, la materia viva.

La rivalutazione del corpo come strumento principale per vivere e rapportarsi all’alterità è espressa in maniera molto potente nell’abbraccio finale fra i due protagonisti; un abbraccio che non ha bisogno di alcun altro senso oltre al tatto, alla percezione viva e vibrante dell’altro.

Da questa prospettiva il tatto può essere davvero il senso perfetto. Una prospettiva totalmente umana, pre-riflessiva, prima di ogni forma di intellettualizzazione che esprime l’esserci senza alcun tipo di mediazione come invece accade per gli altri sensi. A livello relazionale si può essere ciechi pur avendo la vista ed esser sordi pur avendo l’udito allorquando, di fronte alle emozioni altrui, si usano i sensi in maniera meccanica e, nel far questo, si pongono distanze emotive incolmabili.

Vi è un valore totalmente diverso nel dire, ad esempio, “ti sono vicino” (in forma mediata dalla parola) rispetto a manifestarlo attraverso un gesto come un abbraccio. L’abbraccio è immediato ed esprime con il farsi il suo significato.

Al di là delle teorizzazioni filosofiche nel tatto, espressione della corporeità, si apre un universo umano fatto di vicinanza e di calore che non necessita di altro se non di se stesso così come viene espresso nella scena finale del film.

Nicola Carboni

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