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La creazione del mondo quotidiano. Un approccio di dialogo fra psicologia e filosofia - di Nicola Carboni

La creazione del mondo quotidiano. Un approccio di dialogo fra psicologia e filosofia

3 Febbraio 2023 Neuro news neureka
 

La creazione del mondo quotidiano. Un approccio di dialogo fra psicologia e filosofia

«Sembra, o amico, che Teodoto non abbia male congetturato sulla tua natura; che è proprio del filosofo questo che tu provi: meravigliarsi. Infatti non c’è altro principio della filosofia che questo» Platone, Teeteto 115d 1-3

INTRODUZIONE

Sfogliando qualsiasi manuale di storia della psicologia, si suole riconoscere a Wilhelm Wund (1832-1920), con l’istituzione del Laboratorio di Lipsia nel 1894, il merito di aver costituito la psicologia come una scienza indipendente attraverso l’adozione di una precisa metodologia atta a teorizzare e  verificare leggi generali del funzionamento della mente umana allontanandosi in maniera decisa e definitiva da tutto quel pensiero filosofico che nel corsi dei secoli si era interrogato sull’uomo nella sua accezione più generale. Con questa separazione, la psicologia, etimologicamente lo studio, il discorso (logos) intorno alla ψυχή, la psiche, la psicologia ha definito e limitato il suo oggetto di indagine, a grandi linee, e un pò grossolanamente, è diventata la scienza che studia la mente umana, il complesso delle funzioni e dei processi che danno all’individuo esperienza di sé e del mondo.

Tuttavia ψυχή in greco ha un significato molto più esteso di anima, soffio vitale. Etimologicamente richiama una complessità che la psicologia, nella sua separazione dalla filosofia, ha perso.

Lo scopo di questa serie di interventi è mostrare come sia possibile riacquistare questo senso di complessità, cercando un dialogo molto fitto, dei ponti di collegamento tra queste due discipline attraverso lo studio di un argomento che ho chiamato la costruzione del mondo quotidiano.

 Buona lettura.

 

OVVIETÀ E MERAVIGLIA

«Prova a immaginare degli uomini in una caverna […] Che strana [Ατοπου] questa immagine e che strani [άτόπους] questi prigionieri» Rep, VII 514a 2-3; 515a4-5.

Questo è l’incipit del famosissimo mito della Caverna nel quale Socrate chiede a Glaucone, un altro personaggio del dialogo “La Repubblica“, di immaginare, di vedere nella mente, dei prigionieri incatenati dentro una caverna. La reazione è di stupore: definisce infatti la scena e questi prigionieri A-topon, senza (a) luogo (topon), strani.

A-topon è ciò che non ha luogo, pertanto fuori luogo, non inseribile entro un ordine prestabilito. All’atopon si oppone il Τοπος, il luogo, ciò che ha luogo preciso e determinato che diventa consueto, talmente consueto che non necessita di riflessione. Rappresenta l’universo del già-dato, è ciò che è noto, ciò da cui non dobbiamo aspettarci nulla di strano, ciò che è stabile e per via della sua stabilità, fungere da luogo dove gettare le proprie radici per sentirsi tranquillamente a casa.

L’Ατοπου è ciò che ci porta via, ci strappa da questa dimensione, è il freudiano perturbante” l’Unheimlicht ciò che si oppone [Un] all’Heimlich (confortevole, che ci fa sentire a casa, Heim) e all’Heimisch (patrio, nativo). Il nostro Esser-ci è sempre un essere-nel-mondo [In-der-Welt-Sein]. L’espressione in-essere deve essere intesa nel senso esistenziale di Hinnen (abitare) ovvero di “essere presso”, “essere familiare”, intrattenersi in un contesto abituale e non in senso categoriale di “essere dentro” al modo in cui “l’acqua sta dentro il bicchiere”. “In-essere” è dunque la condizione fondamentale dell’esistenza umana, il modo in cui ci “sentiamo di casa nel mondo”. Nel mondo inteso come Τοπος, il pre-supposto che non è necessario indagare in quanto già-dato nella dimensione della sua regolarità ed ovvietà.

L’ovvio è ciò la cui evidenza è immediata, che non presenta caratteri di eccezionalità in quanto regolare, pre-vedibile, scontato. È il luogo, l’in-ciò in cui ci si muove in modo naturale e dove ci si sente al proprio agio in quanto familiare. È ciò che sta nei pressi, che si incontra facilmente, che è vicino e per via della vicinanza colto in maniera inconsapevole e pre-riflessiva.

È l’ordinario nella dimensione di ordinarietà e quotidianità laddove si manifesta come un “già-dato” in quanto semplice presenza che ad altro non rimanda se non alla sua realtà fattuale e autoreferenziale. È l’irrigidirsi in un indifferenziato e tautologico “così è, perché così”.

Scrive Martin Heidegger in Von Wesen der Wahreit [L’essenza della verità] «Ciò che è comprensibile da sé lo chiamiamo in questo modo perché esso “ci entra in testa” senza alcun intervento da parte nostra. Per noi è ovvio, noi troviamo che sia tale […] ci è così vicino che non abbiamo da esso alcuna distanza e non possiamo abbracciarlo e penetrarlo con lo sguardo». L’ovvio è tale perché ci è talmente vicino che non poniamo alcun problema circa la sua natura, è ciò che troviamo a portata di mano senza alcuna fatica.

Il dubbio, la ricerca invece poiché strappa via da questa condizione di ovvietà richiede Streben, lo sforzo. Il dubbio è ciò che de-stabilizza, è τραυμα, la ferita dovuta al perforamento dello strato dell’ovvietà, è l’irruzione dello stra-ordinario nell’ordinario, che trasforma l’Heimlich in Un –Heimlich giacché l’Heimlich è tale proprio in quanto condizione pre-dubitativa. Trasforma il Τοπος in A- Τοπος. È l’a-tipico che non può essere collocato nelle categorie con le quali si è soliti segmentare il reale e, in quanto non collocabile, diventa sfuggente, non solidificabile, non catturabile, non imprigionabile entro i dettami dell’ovvio, quindi senza un luogo, fuori-luogo, α-τοπος. Nella dimensione di un generico esser-fuori, extra, l’α-τοπος si contrappone a ciò che massimamente ha luogo, la generica dimensione della Heim, la casa, dove, almeno teoricamente, tutte le cose stanno al loro posto, e ci si aggira con sicurezza poiché lo sforzo del cercare è soppiantato dalla tranquillità del già-dato.

Chi viene investito dalla forza dell’A-Τοπος prova un senso di straniamento verso sé stesso. Nell’Alcibiade, un dialogo platonico per molti versi sottovalutato, l’effetto straniante delle domande socratiche è meravigliosamente espresso dalle parole di Alcibiade: «Ma per gli dèi, Socrate, non so neppure quel che dico e mi sento completamente fuori fase [ατόπως] perché mentre mi interroghi ora le cose mi sembrano in un modo, ora in un altro» [Alcibiade, 116e 3-5].

Allo stesso modo Teeteto, il giovane protagonista dell’omonimo dialogo afferma «Si, per gli dèi, Socrate, che straordinariamente mi meraviglio, che mai son queste cose, e talvolta, che davvero figgo lo sguardo in esse, ho le vertigini» [Teeteto, 155c 7-9]

Tuttavia solo nella condizione di dubbiosità, nella condizione di coscienza e accettazione del sapere di non sapere, l’uomo, platonicamente gravido di Eros, può porre dubbi; solo vivendo intimamente l’α-τοπος, essendone coinvolto, l’uomo può pensare la realtà che ad esso si manifesta in maniera pre-riflessiva, come altro, andando oltre ciò che è stato definito “ovvio”. Questo vuol dire che la ricerca, prima di essere un atto teoretico ed esteriore, è un accadimento esistenziale che avviene nell’esistenza dell’uomo.

Ma cosa mette in modo questo processo di “eversione”? É θαυμα, la meraviglia, nata dalla sorpresa di trovarsi al cospetto di qualcosa che vìola le aspettative.

«Infatti gli uomini, sia da principio sia ora, hanno cominciato a esercitare la filosofia attraverso la meraviglia. Da principio esercitarono la meraviglia sulle difficoltà che avevano a portata di mano; poi progredendo così alla volta, arrivarono a porsi questioni intorno a cose più grandi.» [Aristotele, La Metafisica, Libro I, 982b, 13-16].

La sorpresa nasce allorquando vengono violate delle aspettative, quando viene violato il senso dell’ovvio, del Τοπος che davamo per scontato. In quali condizioni si genera? A livello generale possiamo indicarne quattro, tre nella misura della presenza

  1. qualcosa che c’è e che non dovrebbe esserci;
  2. qualcosa che c’è ma in forma, dimensione diversa da quella che dovrebbe essere;
  3. qualcosa che c’è ma in una posizione diversa da quella in cui dovrebbe essere; e una nella dimensione dell’assenza
  4. qualche che non c’è ma che dovrebbe esserci

Immaginiamo di entrare in un’aula scolastica. Prima di accedere abbiamo uno schema mentale di cosa sia un’aula, di cosa possiamo trovare (banchi, lavagna, cattedra etc). Ovvero abbiamo delle aspettative. Lo schema dell’aula rientra nel nostro ovvio, non ci poniamo alcun problema circa il fatto che potrebbe essere diverso da come lo immaginiamo. Pur non avendo visto tutte le aule del mondo, abbiamo costruito il nostro schema a partire dalle esperienze fatte dalle quali poi abbiamo costruito il concetto [Aula].

Se, una volta entrati, quello che troviamo corrisponde al nostro schema mentale, questo non ci pone alcun tipo di problema, il pre-supposto si conferma alla prova di realtà empirica.

Immaginiamo invece che nell’aula manchino i banchi (condizione 4), oppure di trovare nel mezzo di essa una lavatrice (condizione 1), oppure che i banchi ci sono ma estremamente piccoli o a forma di piramide rovesciata (condizione 2) o trovare la cattedra in mezzo all’aula anziché in posizione rialzata (condizione 3). In qualunque caso viene disattesa una nostra aspettativa, il pre-supposto viene invalidato. Nasce una domanda: perché, l’Ur-frage, la domanda di senso originaria che da avvio alla ricerca.  Il “perché” è ciò che fa irrompere l’α-τοπος nel τοπος, l’ignoto nel noto, la riflessione in ciò che è dato in maniera irriflessa ma che apre alla θαυμαζω, la meraviglia, il sentimento che nasce dallo stupore e sorpresa per una cosa o una situazione nuova, stra-ordinaria, inattesa. È la meraviglia per l’infinita complessità del reale che pone in crisi l’ovvio.

Dobbiamo spingerci oltre. È vero, questa dimensione che abbiamo definito  Τοπος può tramutarsi in una gabbia o, per usare l’immagine platonica, una caverna nella quale le forme del pensiero si irrigidiscono in ripetizione e accettazione a-critica del reale come forma di destino, una pietrificazione che può essere usata e manipolata dalle strutture del potere come forma di controllo delle coscienze e delle vite degli esseri umani; tuttavia, poiché la ricerca filosofica, è una domanda su ciò che è considerato come ovvietà, dobbiamo porre a tema il concetto stesso di  Τοπος.

Come si crea questo senso di Heimlich, del sentirci a casa in questo mondo comune e dato per scontato? Ci sono meccanismi psicologici sottesi a questo processo? E quali sono questi processi?

In queste domande che verranno analizzate nel corso della trattazione, si cercherà di trovare quei “ponti”, le condizioni di possibilità di dialogo fra filosofia e psicologia.

Nicola Carboni

 
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