Le origini dell’EFFETTO HAWTHORNE (seconda parte)

Le origini dell’EFFETTO HAWTHORNE (seconda parte)

L’effetto Hawthorne è stato descritto per la prima volta negli anni ’50 dal ricercatore Henry A. Landsberger durante la sua analisi di esperimenti condotti negli anni ’20 e ’30 in uno stabilimento a Cicero vicino a…
 

Le origini dell’EFFETTO HAWTHORNE
(seconda parte)

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L’effetto Hawthorne è stato descritto per la prima volta negli anni ’50 dal ricercatore Henry A. Landsberger durante la sua analisi di esperimenti condotti negli anni ’20 e ’30 in uno stabilimento a Cicero vicino a Chicago. Il fenomeno prende infatti il nome dal luogo in cui si sono svolti gli esperimenti, la compagnia elettrica Hawthorne Works della Western Electric, appena fuori Hawthorne, Illinois. Nel 1958, Henry A. Landsberger coniò così il termine “effetto Hawthorne” mentre valutava questi studi condotti da un gruppo di studiosi. Gli scienziati inclusi in questo gruppo di ricerca erano Elton Mayo (psicologo), Roethlisberger e Whilehead (sociologi) e William Dickson (rappresentante dell’azienda).

L’azienda elettrica Hawthorne Works aveva commissionato una ricerca allo scopo di accertare se esistesse una relazione tra produttività e ambienti di lavoro (ad esempio, il livello di illuminazione di una fabbrica). Lo scopo originale degli studi Hawthorne era quello di esaminare come diversi aspetti dell’ambiente di lavoro, come l’illuminazione, i tempi delle pause e la durata della giornata lavorativa, influissero sulla produttività dei lavoratori.

Il primo e più influente di questi studi è noto come “Esperimento di illuminazione”, condotto tra il 1924 e il 1927 e sponsorizzato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Durante questo primo studio, un gruppo di lavoratori che realizzavano relè elettrici sperimentò diversi cambiamenti nell’illuminazione. La performance di questo gruppo venne osservata in risposta alle più piccole alterazioni dell’illuminazione.

Ciò che i ricercatori negli studi originali scoprirono è come quasi ogni cambiamento in una variabile e/o delle condizioni sperimentali porti ad un aumento della produttività. Questo era vero anche quando il cambiamento era negativo, come un ritorno a una scarsa illuminazione. Ad esempio, la produttività aumentava quando l’illuminazione veniva ridotta ai livelli di lume di candela, quando le pause venivano eliminate del tutto e quando la giornata lavorativa veniva allungata.

Lo studio originale di Hawthorne esaminò quindi la modifica della quantità di luce negli Hawthorne Works e il suo impatto sulle pratiche di lavoro. La maggiore attenzione rivolta ai lavoratori nell’ambito dello studio aveva portato ad aumenti temporanei della produzione (l’effetto Hawthorne) in contrapposizione a cambiamenti nelle pratiche di lavoro.

Come abbiamo già detto, nel più famoso degli esperimenti l’obiettivo dello studio era determinare se aumentare o diminuire la quantità di luce ricevuta dai lavoratori avrebbe avuto un effetto sulla produttività dei lavoratori durante i loro turni. Tuttavia, i ricercatori rimasero perplessi nello scoprire che la produttività migliorava, non solo quando l’illuminazione aumentava, ma anche quando l’illuminazione diminuiva.

Se nello studio originale, la produttività dei dipendenti sembrava aumentare a causa dei cambiamenti, tuttavia poi diminuiva al termine dell’esperimento. Pertanto, questi guadagni di produttività scomparivano non appena l’attenzione svaniva. Il risultato implicava che l’aumento della produttività fosse semplicemente il risultato di un effetto motivazionale sui lavoratori dell’azienda.

I ricercatori hanno concluso che i lavoratori stavano rispondendo alla maggiore attenzione da parte dei supervisori. La consapevolezza dei lavoratori di essere osservati li aveva apparentemente portati ad aumentare la loro produzione. Sembrava dunque che una maggiore attenzione da parte dei supervisori potesse migliorare le prestazioni lavorative. Ciò suggerì quanto la produttività aumentasse a causa dell’attenzione e non a causa dei cambiamenti nelle variabili sperimentali.

I ricercatori conclusero come la produttività dei lavoratori non fosse influenzata dai cambiamenti nelle condizioni di lavoro, ma piuttosto dal fatto che qualcuno fosse interessato o abbastanza preoccupato per le loro condizioni di lavoro da condurre un esperimento su di esse. La produttività migliorava ogni volta che venivano apportate modifiche ad altre variabili come l’orario di lavoro e le pause di riposo.

Se Landsberger ha definito l’”effetto Hawthorne” come un miglioramento a breve termine delle prestazioni causato dall’osservazione dei lavoratori, risultati ai quali ricercatori e manager si sono rapidamente agganciati; è anche vero che studi successivi hanno suggerito quanto queste conclusioni iniziali non riflettessero ciò che stava realmente accadendo.

Stefano Migliorati

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