Lo stoicismo e il problema della conoscenza - Parte 2 - Il confronto con lo Scetticismo: il pensiero di Pirrone

Lo stoicismo e il problema della conoscenza – Parte 2

Le riflessioni di Democrito circa la differenza ontologica fra realtà “vera” degli atomi e del vuoto e realtà apparente delle qualità sensibili, hanno notevolmente influenzato il pensiero di Pirrone di Abdera…
 

Percezione e Conoscenza (quinta parte)

Vedi le altre parti dell’articolo di Nicola Carboni  “Percezione e Conoscenza”

Lo stoicismo e il problema della conoscenza – Parte 2

Il confronto con lo Scetticismo: il pensiero di Pirrone

Le riflessioni di Democrito circa la differenza ontologica fra realtà “vera” degli atomi e del vuoto e realtà apparente delle qualità sensibili, hanno notevolmente influenzato il pensiero di Pirrone di Abdera, il fondatore del metodo di indagine filosofico denominato Scetticismo.

Al pari di Socrate non abbiamo testimonianze scritte dirette; tutto quello che ci è giunto del suo pensiero, lo dobbiamo all’opera del suo principale discepolo, Timone di Fliunte.

Molto spesso si tende a sottostimare l’importanza del pensiero scettico, relegato a pensiero filosofico di secondo ordine, un gioco eristico volto a  mettere tutto in discussione  fine a se stesso. Senza il dubbio, senza il mettere in discussione ciò che è accettato come ovvio, ciò che è accettato e assorbito in maniera acritica, non potrebbe esistere la filosofia e qualsiasi atteggiamento di tipo scientifico. Il principio della scienza, come sottolinea Karl Popper, non è il credere, ma la falsificabilità, l’esercizio costante del dubbio che è stato la matrice costante del pensiero pirroniano.

La domanda di partenza è: quale è la natura delle cose? quella natura profonda che fa sì che qualcosa sia ciò che è, l’ousia, il concreto esistere che funge da “sostanza” intesa come sub-stantia, che sta sotto. É bene ricordare la profonda differenza che esiste tra il concetto greco e il concetto moderno di “ragione”, λογος e ratio, ragione sostanziale e ragione procedurale. Per ragione sostanziale si deve intendere come identificabile in un ordine (kosmos) in cui ognuno dei molti enti e eventi  ha una propria collocazione (topos); una ragione sottostante, una legalità immanente, di cui ogni ente ne è custode e testimone.

Il pensiero di Pirrone ha una natura ambivalente: se da un lato si iscrive all’interno di una riflessione  ontologica propria del pensiero greco, dall’altro ne rappresenta la crisi che è specchio e lente di ingrandimento della crisi della grecità classica del III secolo a.c. che si manifesta nel declino della struttura delle polis soppiantante dal Regno di Macedonia prima di Filippo II e poi di Alessandro Magno.

Il pensiero scettico porta alle estreme conseguenze il fenomenismo analizzato da Platone nel Teeteto, come abbiamo visto negli articoli precedenti. Venuta meno la grande impalcatura ontologica platonico-aristotelica, quale è il destino di una conoscenza che abbia come unico oggetto il fenomeno, la cosa nella sua apparenza, che viene colto dalla percezione sensibile?

La risposta pirroniana è drastica: nulla possiamo dire certezza, nulla può conferire all’opinione lo status di verità. Se tutto è fenomeno, quindi sottoposto al divenire universale, le sensazione non possono essere nè vere, nè false, in ogni caso non possono essere testimoni attendibili su cui costruire un sapere. Analizzato più approfonditamente questo è il punto di vista del dubbio metodico di Cartesio così come viene esplicitato ne Le meditazioni metafisiche «Ordunque, finora ho ammesso come vero, anzi come vero per eccellenza, tutto quel che ho ricevuto o dai sensi o per mezzo dei sensi. Mi sono reso conto che talora essi ingannano; e prudenza vuole che non ci si fidi mai del tutto di chi ci abbia ingannati anche una sola volta»[1].

Posto che esista una realtà vera o, usando grammatiche kantiane, una realtà noumenica, le sensazioni non possono coglierne le determinazioni e, se nulla possiamo dire con certezza, l’atteggiamento filosofico più corretto, secondo Pirrone, è non pronunciarsi intorno alla natura delle cose.

Il giudizio dei sensi non può giungere a cogliere le proprietà di un oggetto poichè tali proprietà non possono esistere indipendentemente dall’esperienza che noi ne abbiamo. Fenomeno infatti significa ciò che si manifesta nel suo manifestarsi per colui a cui si manifesta, la “cosa” non si mostra nel suo essere in sè e per sè, nella sua interezza, ma appare in una visuale ristretta. L’unità dell’oggetto, da un punto di vista fenomenologico-percettivo, è una inferenza. Se qualcosa è qualcosa-per-me, a livello gnoseologico, significa che esiste una correlazione, un legame originario fra Io e mondo che non si può ridurre a una dicotomia fra soggetto e oggetto: come non esiste un percepito senza qualcuno che percepisce, così non esiste un percipiente senza qualcosa da percepire.

È possibile trovare un linguaggio comune che renda conto di analogie fra tali riflessioni filosofiche e fenomeni analizzati dalla contemporanea psicologia della percezione? (In particolare la percezione visiva).

A livello semplicistico si asserisce che tra oggetto percepito (percetto) e oggetto che è nel mondo (stimolo distale) esista una corrispondenza diretta. Fra questi due poli però esiste quello che viene chiamato lo stimolo prossimale, l’immagine retinica, l’insieme delle proprietà degli eventi neurali che avvengono a livello della superficie ricettoriale e che rappresenta l’interfaccia fra la mente e il mondo. Mentre l’oggetto distale ha una estensione nelle tre dimensioni spaziali, nella retina, lo stimolo prossimale è a due dimensioni. Questo fenomeno chiamato indeterminazione ottica ho come conseguenza che a ogni configurazione 2D sulla retina possono corrispondere moltissime configurazioni distali diverse. L’analisi della catena psicofisica che caratterizza il passaggio di informazione dallo stimolo distale allo stimolo prossimale è alla base della concezione della percezione visiva come ottica inversa: i sistemi percettivi non conoscono direttamente le proprietà dello stimolo distale, ma debbono costruirle a partire dalle informazioni disponibili. Lo psicologo Irvin Rock sostiene che il percetto può essere considerato come una soluzione posta dalla difficoltà del passaggio dalla immagine retinica alla ricostruzione del mondo esterno.

In base a quanto scritto sopra possiamo chiederci, al pari di Pirrone, quale sia la garanzia che quello che sto percependo in questo momento abbia realmente un valore di verità che travalichi la dimensione meramente soggettiva o, in altri termini, quale sia il grado di conoscibilità del fenomeno.

[1]R. Descartes, Meditazioni metafisiche, p.29, Edizioni Laterza Roma -Bari, 2000

Nicola Carboni

 

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