Una citazione famosa di Mario Tobino, scrittore, poeta e psichiatra

Mario Tobino e la Psichiatria

Lo scrittore, poeta e psichiatra che ha passato la vita tra narrazione e cura dei malati in manicomio….
 

Ogni creatura umana ha la sua legge;
se non la sappiamo distinguere chiniamo il capo
invece di alzarlo nella superbia;
è stolto crederci superiori
perché una persona si muove percossa da leggi a noi ignote.

Mario Tobino

Nasceva oggi nel 1910, a Viareggio, Mario Tobino, scrittore, poeta e psichiatra;

Il suo carattere vivace che gli provoca a tredici anni una condanna per lesioni gravi ad un compagno, induce i genitori a fargli passare un anno in collegio subito dopo il ginnasio. Tornato a casa, si iscrive al liceo di Massa, ma riesce ad ottenere la maturità solo come privatista a Pisa perché viene espulso dal liceo a seguito di una bravata: viene trovato in una casa di tolleranza abusiva. È questo il momento in cui comincia ad appassionarsi alla letteratura ed in particolare alle opere di Machiavelli e Dante che affinano la sua sensibilità e lo inducono a cominciare a scrivere. Dopo il liceo frequenta la facoltà di medicina a Pisa, ma si laurea a Bologna nel 1936.

Durante il periodo universitario continua a coltivare la sua passione per la scrittura e nel 1934 pubblica la sua prima raccolta di poesie. I suoi compagni di corso sono Mario Pasi, che poi diventerà il partigiano Montagna, ed Aldo Cucchi che verrà eletto deputato nelle file del Pci. Mario racconta la sua amicizia con i due e le vicende di cui sono protagonisti nei romanzi: “Una giornata con Dufenne” (1968) e “I tre amici” (1988).

Dopo il servizio militare negli alpini, torna a Bologna per specializzarsi in neurologia, psichiatria e medicina legale e inizia a lavorare nell’ospedale psichiatrico di Ancona. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, viene richiamato sotto le armi e parte per la Libia, dove rimane fino al 1942. Proprio nel 1942 viene ferito e rimpatriato in Italia. Dall’esperienza vissuta in Libia trae ispirazione per due romanzi: “Il deserto della Libia” (1942) e “Il perduto amore” (1979). Il primo romanzo è stato oggetto di due differenti adattamenti cinematografici: “Scemo di guerra” di Dino Risi e il più recente (2006) “Le rose del deserto” di Mario Monicelli.

Tornato in Italia, comincia a lavorare nel manicomio di Magliano che sarà praticamente la sua casa per circa quaranta anni. Nello stesso periodo partecipa attivamente alla resistenza contro il nazifascismo. E proprio a testimonianza di questo periodo scrive il romanzo “Il Clandestino” (1962) con cui vince il Premio Strega.

In questo periodo conosce la compagna di tutta la sua vita, Paola, sorella della scrittrice Natalia Ginzburg e di Adriano Olivetti. I due si conoscono ad una festa di Capodanno a Forte dei Marmi e da quel momento non si lasceranno più. Paola sarà presente in tanti suoi romanzi con lo pseudonimo di Giovanna.

Mario Tobino vive da psichiatra i tre passaggi fondamentali di cui è protagonista nel Novecento questa branca della medicina. Assiste cioè alla fase prefarmacologica, quando l’unica possibilità per curare i malati è semplicemente custodirli nei manicomi, alla fase farmacologica, quando cominciano ad essere scoperti e somministrati i primi farmaci, fino a quella antipsichiatrica con la chiusura dei manicomi. Racconta tutte queste trasformazioni nei romanzi: “Le libere donne di Magliano” (1953), “Per le antiche scale” (1971) con il quale vince il Premio Campiello e “Gli ultimi giorni di Magliano” (1982). Mauro Bolognini realizza la versione cinematografica di “Per le antiche scale” nel 1975 e sceglie come protagonista Marcello Mastroianni.

Tobino dedica tutta la vita ai suoi malati, di cui, come lui stesso dice, vorrebbe essere padre, fratello maggiore e persino nonno. Definisce i suoi pazienti matti, e non malati di mente, perché nel chiederne a viva forza il miglioramento delle condizioni di vita preferisce chiamarli come li chiama il popolo. Ne “Gli ultimi giorni di Magliano” descrive proprio la sua disperazione dopo l’approvazione della legge Basaglia che prevede la chiusura dei manicomi. Tobino si chiede dove andranno i suoi matti abbandonati a loro stessi.

Dalle colonne del giornale “La Nazione”, si scaglia contro l’insensatezza di una riforma che chiude i manicomi senza proporre delle soluzioni alternative. Viene lasciato solo a combattere la sua battaglia e a denunciare i tanti suicidi dei malati che, liberi di abbandonarsi a se stessi, finiscono per scegliere di non vivere. Da lì a poco, anche lui lascia il manicomio, ormai è quasi un settantenne e la pensione lo attende.

Pubblica il suo ultimo romanzo “Il manicomio di Pechino” nel 1990 e muore un anno dopo il giorno 11 dicembre 1991 ad Agrigento, dove è andato a ritirare il Premio Luigi Pirandello.

Fonte: biografieonline.it

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