Voglio trovare un senso anche se un senso (forse) non c'è. Pensieri da "Un senso" di Vasco Rossi

Voglio trovare un senso anche se un senso (forse) non c’è. Pensieri da “Un senso” di Vasco Rossi

Il confine fra la ricerca esistenziale di senso e il labirintizzarsi del pensiero è molto sottile. Di questo parla Vasco Rossi nella canzone “Un senso”…
 

Voglio trovare un senso anche se un senso (forse) non c’è.
Pensieri da “Un senso” di Vasco Rossi


Ducunt fata volentem, nolentem trahunt

Seneca, Lettere a Lucilio, 107, 11,5

Secondo Vitkor Frankl, psichiatra e padre della Logoterapia, l’essere umano è mosso dalla ricerca del significato. Attribuire un senso a ciò che accade è un bisogno esistenziale soprattutto in quelle situazioni che il filosofo Kark Jaspers definì “situazione-limite” dove l’intero Esserci dell’uomo viene messo a dura prova. Attribuire un significato, giusto o sbagliato che sia, immanente o trascendente, ha una funzione salvifica; è il darsi una ragione per combattere una prospettiva che sarebbe terribile e insopportabile: la mancanza di significato.

Il confine fra la ricerca esistenziale di senso e il labirintizzarsi del pensiero però è molto sottile. Di questo parla Vasco Rossi nella canzone “Un senso” pubblicata nel 2004 come terza traccia dell’album “Buoni o Cattivi”. – Voglio trovare un senso –  in questo modo inizia ogni strofa ovvero  attraverso una dichiarazione di  volontà di ricerca di un qualcosa che possa spiegare –questa sera-, -questa vita- -questa storia benché questa ricerca si scontri non solo con l’impossibilità di attribuire un senso ultimo ed esaustivo, ma anche con l’angoscia della mancanza di senso – anche se questa sera, questa vita, questa storia, un senso non ce l’ha  – Per quanto l’essere umano si perda in tale ricerca, tuttavia il futuro piomba in maniera inesorabile indipendentemente dalla volontà di ognuno. Sia che abbia o non abbia un senso il – domani arriverà lo stesso – con il rischio di perdere di vista l’attimo che, una volta passato, non torna più se non come oggetto di una ulteriore ricerca di senso – senti che bel vento, non basta mai il tempo – e nel tempo che si spende nel pensare, ci si dimentica della vita – domani è un altro giorno, ormai è qua –

Paradossale, assurda, tragica è la condizione esistenziale dell’uomo chiuso fra il futuro che incombe e un passato a cui, molto spesso, deve rendere conto attraverso un’opera di sematizzazione o ri-semantizzazione. È paradigmatica la figura dell’Angelus Novus descritta da Walter Benjamin prendendo spunto dall’omonima opera pittorica di Paul Klee.

Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese […]
Ha il viso rivolto al passato […]
Vorrebbe trattenersi e ricomporre l’infranto. […]
Ma una tempesta spira …lo spinge irresistibilmente nel futuro a cui volge le spalle[1].

Scisso fra queste due forze l’uomo è inchiodato nel mestiere più difficile di tutti, quello che Cesare Pavese chiamò “il mestiere di vivere“.

 

[1] Walter Benjamin, Schriften trad.it. Angelus Novus. Saggi e scritti a cura di Renato Solmi, Einaudi, Torino, 1995 p.80

Nicola Carboni

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