Percezione e Conoscenza (parte 11) – La metafisica dell’Indeterminazione – parte prima - di Nicola Carboni

Percezione e Conoscenza (parte 11) – La metafisica dell’Indeterminazione – parte prima

Nelle parti precedenti siamo giunti a definire la posizione dei Cirenaici circa la combinazione fra epistemologia e ontologia come metafisica…
 

Percezione e Conoscenza (undicesima parte)

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La metafisica dell’Indeterminazione – parte prima

Nelle parti precedenti siamo giunti a definire la posizione dei Cirenaici circa la combinazione fra epistemologia e ontologia come metafisica dell’indeterminazione. In altri termini non possiamo sapere come le cose sono in sé e per sé ma solo come esse appaiono a noi, nella loro natura fenomenica. Ad esempio, posso asserire con assoluta certezza di essere affetto, di stare percependo qualcosa che produce in me una sensazione di “bianchezza”, ma circa l’oggetto del mondo esterno che sto percependo che sia effettivamente bianco, non posso dire nulla. L’oggetto rimane indeterminato. Se tutto in natura è fondamentalmente indeterminato, e nulla che esiste ha natura definita, allora sarà impossibile asserire come le cose siano. Ma cosa significa che le cose sono indeterminate e come dobbiamo interpretare la metafisica dell’indeterminazione? Come abbiamo già visto l’idea dell’impossibilità di asserire qualcosa di definito circa la natura delle cose era già presente nel pensiero greco. Gli argomenti portati a sostegno di questa tesi sono sostanzialmente tre:

  1. la contraddizione: ipotesi che ogni cosa possa essere sia A che non-A
  2. il flusso: l’ipotesi del mutamento universale tale che qualsiasi oggetto possa passare da A a non-A
  3. l’indeterminazione: l’ipotesi che di nessuna cosa si possa dire se essa sia A o non-A

Alcune correnti del pensiero filosofico contemporaneo possono aiutarci a capire meglio come possiamo intendere la metafisica dell’indeterminazione dei cirenaici. In Sameness and Substance, il filosofo inglese David Wiggins inserisce l’indeterminazione (vagueness and indeterminacy) come una delle tre grandi direttrici circa il dibattito contemporaneo sulla comprensione del mondo esterno. Rosen e Smith classificano inoltre due versioni dell’indeterminazione, la mild indeterminacy e la radical indeterminacy. La prima asserisce che l’indeterminazione riguarda solo le qualità secondarie degli oggetti, ovvero quelle che sono oggetti della conoscenza sensibile (colori, odori, etc.), ma non l’aspetto quantitativo, ovvero l’aspetto geometrico-matematico. Una suddivisione che sta a monte di tutta la rivoluzione scientifica del XV-XVI secolo.  Secondo tale teoria siamo immersi in un mondo di oggetti dei quali non possiamo dire se abbiano in sé qualità determinate e che, il loro aspetto fenomenico, dipende dall’incontro con i nostri organi sensoriali. La seconda, la radical, estende l’indeterminazione allo stesso sostrato ontologico delle cose considerate nella loro essenza.

In pieno spirito socratico, i Cirenaici considerano l’epistemologia e l’etica come due aspetti indivisibili della ricerca filosofica che si univano nel concetto di pathos (affezione) che fungeva da un lato (come abbiamo già visto) come criterio di verità e dall’altro come fine e guida della vita pratica. Il pathos aveva sia una parte fisica che una controparte mentale. Per quanto riguarda la parte fisica vige la dicotomia piacere/dolore dove per piacere intendevano un delicato movimento del corpo e per dolore, un movimento rude. Tuttavia, l’alterazione del corpo e nel corpo necessita di un equivalente mentale, di una consapevolezza di star provando a livello sensoriale, piacere o dolore. L’epistemologia cirenaica sembra appoggiarsi sull’essere consapevoli dei contenuti delle nostre affezioni, inizialmente sentite attraverso una alterazione corporale.

In questo contesto possiamo intendere l’epistemologia cirenaica (la consapevolezza di star provando qualcosa che è al tempo stesso certezza di star provando questo qualcosa) come il risultato di un movimento percettivo che interviene tra noi e il mondo. In un certo senso i Cirenaici, come vedremo successivamente, prefigurano il concetto di intenzionalità, così come inteso dal filosofo e psicologo Franz Brentano, ovvero come l’attitudine, da parte del pensiero, ad avere sempre un contenuto ad essere essenzialmente volto verso un oggetto, senza il quale in pensiero stesso non sussisterebbe. Ogni fenomeno mentale, ogni atto psicologico, ha un contenuto, è diretto verso qualcosa. Ad esempio, per ogni pensare, percepire, desiderare c’è un correlato oggettivo nel pensato, percepito, desiderato. Quando vediamo un oggetto come bianco, i nostri organi di senso sono alterati in maniera tali da “vivere” la sensazione di bianchezza, della quale non solo la percepiamo “organicamente” ma ne dobbiamo avere una consapevolezza mentale. Il modo migliore per intendere questo nodo fondamentale dell’epistemologia cirenaica è “Sto vedendo qualcosa che in me sta producendo una sensazione di bianchezza. Non posso dire nulla circa l’oggetto, tuttavia su quello che sto provando ne ho assoluta certezza”. Per riassumere il pathos è qualcosa che nasce come una alterazione fisica del corpo e che finisce con la consapevolezza mentale di tale alterazione. Ha un’altra caratteristica: la temporalità. Seconda la testimonianza di Ateneo di Neucrati (Deipnosofisti XII 544a-b) il pathos occupa un monochronos, che possiamo tradurre come “una unità temporale“, il tempo in cui l’affezione dura prima di sparire completamente, ovvero il pathos ha una vita nel tempo in cui viene provata.

Abbiamo appurato come per i Cirenaici solo le affezioni sono comprensibili (posizione epistemologica) perché non possiamo sapere come le cose esterne siano realmente perché non hanno per se stesse delle caratteristiche intrinseche (posizione metafisica). La combinazione di epistemologia e ontologia ci riporta al concetto di indeterminazione. Siamo consapevoli di stare provando una sensazione, tuttavia non possiamo conoscere la reale identità di ciò che sta provocando in noi tale sensazione. Ad esempio, possiamo essere certi se, toccando il fuoco, proviamo una sensazione di calore, ma non possiamo avere altrettanta certezza se il fuoco in sé, a livello intrinseco, nella sua dimensione noumenica, sia in sé e per sé caldo. Questo implica che gli oggetti del mondo esterno non sono elementi unitari né hanno una stabilità temporale, ma hanno una natura di semplici aggregati. Ma cosa significa che solo le affezioni sono conoscibili in un contesto di una visione metafisica nella quale gli oggetti non sono elementi unitari ma semplici aggregati? E aggregati di cosa? Nella visione dei cirenaici esiste un mondo nel quale esiste un reale sostrato indipendente dalla mente non costituito da elementi discreti. Gli oggetti sono quindi interpretati come legami di qualche caratteristica episodica o temporanea. Se gli oggetti non sono considerati come forniti di una essenza ontologica stabile, allora sono pensati come sottoposti a un perenne movimento da una aggregazione momentanea ad un’altra. L’alternativa a una metafisica degli oggetti è una metafisica dei processi.

Nicola Carboni

 

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