Arcesilao e l'accademia scettica

Percezione e Conoscenza parte 7 – Arcesilao e l’accademia scettica

Arcesilao di Pitane divenne scolarca dell’Accademia intorno al 265 a.c. Il suo scolarcato rappresenta una svolta per la Scuola fondata da Platone. Con Arcesilao si parla infatti di…
 

Percezione e Conoscenza (settima parte)

Vedi le altre parti dell’articolo di Nicola Carboni  “Percezione e Conoscenza”

Arcesilao e l’accademia scettica

Arcesilao di Pitane divenne scolarca dell’Accademia intorno al 265 a.c. Il suo scolarcato rappresenta una fondamentale svolta per la Scuola fondata da Platone nel 387 a.c. Con Arcesilao si parla infatti di Seconda Accademia per delinearne la svolta verso lo scetticismo. I primi scolarchi infatti  (Speusippo, Senocrate, Polemone e Cratete) si limitarono a seguire sostanzialmente la dottrina del Maestro privilegiando tuttavia gli aspetti etici rispetto a quelli ontologici e metafisici.

Arcesilao, alla ripresa del metodo di indagine socratico (so di non sapere) unisce le dottrine scettiche di Pirrone, dando vita a qualcosa di completamente nuovo e che si opponeva alle correnti dogmatiche del pensiero ellenistico a lui contemporanee, l’epicureismo e lo stoicismo di Zenone prima e di Cleante e Crisippo dopo.

Abbiamo visto precedentemente come per Zenone il principio della verità risieda nella rappresentazione catalettica. La sensazione è congiunta strettamente all’impulso che viene dall’esterno e che forma la rappresentazione, a queste immagini poi bisogna aggiungere l’assenso, l’atto del giudizio che pone al vaglio razionale le rappresentazioni che derivano dai sensi. Non a tutte le rappresentazioni bisogna prestar fede ma solo a quelle che hanno un segno caratteristico degli oggetti rappresentati, ovvero che abbiano il “marchio” dell’assoluta evidenza. La radice dell’evidenza sta poi nel fatto che la rappresentazione sia impressa e formata da ciò da cui deriva.

La scienza, secondo la dottrina stoica, sta dunque nell’assenso concesso a una rappresentazione vera. La scienza è prerogativa del sapiente che attraverso il suo logos rispecchia il Logos universale, la ragione immanente in tutte le cose.

Il punto di partenza della critica di Arcesilao riguarda la possibilità di stabilire con certezza la distinzione fra una rappresentazione vera e una falsa. Secondo lo scolarca dell’Accademia infatti non esiste rappresentazione che sia vera in modo tale da non poter esser confusa con una rappresentazione falsa. Arcesilao pone il dubbio circa il concetto stesso di evidenza zenoniano, ossia la presenza, in una rappresentazione, dell’impronta della cosa da cui proviene. Secondo Arcesilao questo era impossibile da provare: da un lato la verità della rappresentazione era data dal suo procedere dall’ente, dall’altro l’ente non è se non ciò che è in grado di conferire evidenza alla rappresentazione.  A conferma di questa critica, secondo quanto tramandato da Cicerone, Arcesilao citava tutte le forme di illusioni ottiche come ad esempio il remo che immerso nell’acqua appare spezzato.

Compendiava in quattro punti la critica alla rappresentazione catalettica come criterio di verità: 1. esistono delle sensazioni false; 2. le rappresentazioni false non possono dare luogo a percezione, ossia fondare una conoscenza vera; 3. ci sono delle rappresentazioni che non si distinguono tra loro; 4. non esiste alcuna rappresentazione comprensiva vera cui non si avvicini una rappresentazione falsa, la quale non ne differisce in nulla e non può fondare una conoscenza vera. In altri termini, non esiste alcun criterio discriminante che possa dare la certezza che una impressione sensibile sia vera.

La forza critica del pensiero scettico di Arcesilao trova eco, molti secoli dopo, in Cartesio laddove, nella prima delle Meditazioni metafisiche (un testo fondamentale per la costruzione del moderno pensiero occidentale) pone il cosiddetto dubbio metodico, la prima fase di destrutturazione di tutto il sapere al fine di trovare una evidenza assoluta e indubitabile che è il Cogito ergo sum. «Ordunque, finora ho ammesso come vero, anzi come vero per eccellenza tutto quel che ho ricevuto o dai sensi o per mezzo dei sensi. Mi sono reso conto che talora essi ingannano, e prudenza vuole che non ci si fidi mai del tutto di chi ci abbia ingannati anche solo una volta[1]». Questi tipi di inganni (che coincidono con le illusioni ottiche di Arcesilao) vengono poi esplicitati nella sesta meditazione «In seguito, però, molte esperienze hanno fatto crollare, a poco a poco, tutta la fiducia che avevo avuto nei sensi. In tanto, per esempio, delle torri che da lontano sembravano rotonde, da vicino apparivano quadrate, e delle statue poste sulle loro sommità da lontano sembravano gigantesche, ma non apparivano poi altrettanto grandi a guardarle dai piedi di quelle torri; ed altri innumerevoli altri casi di questo genere mi rendevo conto degli errori di giudizio dei sensi esterni»[2].

In maniera consequenziale Arcesilao muove le sue critiche anche al concetto di assenso. Una volta riscontrato che non possiamo fare distinzione tra le varie rappresentazioni, per dire quale sia vera e quale falsa, consegue si deve sospendere l’assenso, altrimenti si avrebbe da parte nostra l’approvazione di qualche cosa che non sappiamo se sia vero oppure no.

Quanto all’assenso in sé considerato, rilevava che esso non sorge in rapporto alla rappresentazione, ma in relazione alla ragione in quanto si fonda sui giudizi.

Lungi dal rischiare l’assenso su qualcosa che non si conosce, l’atteggiamento proprio del sapiente è quello dell’εποχή [epoché] la sospensione dell’assenso che, come vedremo, avrà un ampio successo filosofico sia in Cartesio che in Husserl.

[1]Cartesio, Meditazioni Metafisiche, Laterza, Roma -Bari, 1997, p. 29 [2]Ibidem, p. 127

Nicola Carboni

 

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