Percezione e Conoscenza parte 8 – Lo scetticismo in età imperiale

Gli sviluppi dello scetticismo antico ebbero una sorta di “rinascimento” filosofico durante l’età imperiale romana intorno al I e II secolo d.c. Si parla di Neo scetticismo…
 

Percezione e Conoscenza (ottava parte)

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Lo scetticismo in età imperiale

Gli sviluppi dello scetticismo antico ebbero una sorta di “rinascimento” filosofico durante l’età imperiale romana intorno al I e II secolo d.c. Si parla di Neo scetticismo o scetticismo di età imperiale i cui maggiori esponenti furono Enesidemo di Cnosso, Agrippa e Sesto Empirico.

Sesto Empirico, i cui scritti Schizzi Pirroniani e Adversus mathematicos rappresentano fonti dossologiche fondamentali per la ricostruzione del pensiero ellenistico, individua l’essenza dell’autentico scetticismo nell’abilità (dynamis) di “contrapporre in qualsivoglia modo le cose che appaiono a quelle che vengono pensate” e da cui “a causa dell’ugual forza (isostenia o equipollenza) presente nei fatti e discorsi contrapposti, giungiamo dapprima alla sospensione del giudizio e all’imperturbabilità dell’animo.

In particolare Enesidemo e Agrippa affermano che nulla possa essere conosciuto in modo certo né per via sensibile né mediante il pensiero. Elencano una serie di tropi, ovvero degli argomenti per dimostrare la necessità di sospendere il giudizio su ogni cosa.

Secondo Enesidemo in particolare, affinché possa darsi una conoscenza certa devono essere soddisfatte tre condizioni.

  1. che esista una stabilità nell’Essere
  2. che esista un legame causa – effetto
  3. che sia possibile una inferenza metafenomenica, ovvero che sia possibile andare oltre ciò che appare, per cogliere l’essere in sé e per sé

Negli Schizzi Pirroniani, Sesto Empirico elenca i 10 tropi attraverso i quali Enesidemo giunge a una completa relativizzazione del sapere.

Il primo tropo deriva dalla differenza tra gli animali, motivo per cui non si hanno uguali rappresentazioni delle stesso cose, onde per cui non potremo mai sapere quale sia la rappresentazione vera.

Posto che la rappresentazione dell’uomo sia superiore a quella degli animali, il secondo tropo verte sulla differenza tra uomini a livello mentale, mentre il terzo deriva dalla differenza fra le sensazioni. Il terzo tropo richiama degli interrogativi che posti da Platone nel Teeteto, come abbiamo visto nei capitoli precedenti. Se la stessa cosa può apparire in maniera diversa a diverse persone, nulla possiamo asserire circa la natura della cosa stessa.

Il quarto tropo verte sulla differenza delle “circostanze” intese come la veglia, il sonno, la differenza di età, lo stare in quiete o essere in movimento. Interessantissimo è l’inclusione dello stato emotivo che la psicologia contemporanea chiama Affect Bias, ovvero quanto l’essere felici, tristi o ansiosi possa modificare la percezione della stessa situazione.

Il quinto tropo verte sugli errori di percezione, quelli che Arcesilao (e Cartesio) intendono come illusioni ottiche: lo stesso remo immerso nell’acqua appare spezzato, fuori dall’acqua è intero. La stessa torre che da lontano sembra piccola, da vicino è enorme. Enesidemo definisce questo la “posizione” o “intervalli di luogo e tempo” e poiché ogni cosa che percepiamo è inserita in un contesto spazio-temporale, quindi è caratterizzata da una connotazione fenomenologica, nulla possiamo asserire circa la cosa in sé e per sé fuori dal contesto e dagli organi di senso di chi la percepisce.

Il sesto e il settimo tropo vengono definiti “mescolanza” e “composizione” degli oggetti. Il settimo, che richiama ancora una volta il Teeteto platonico, è quello della relazione tra chi percepisce e cosa percepita. Si tratta della definizione di Fenomeno inteso il mostrantesi nel suo mostrarsi ovvero ciò che appare nel modo in cui appare a chi percepisce. Non si dà percetto senza colui che percepisce. Questa primaria relazione, intrinseca alla percezione, dovrebbe porre dubbi circa la distinzione soggetto-oggetto. Un oggetto, nel suo essere fenomenico è tale in virtù del suo essere visto, udito, percepito in generale. Questo implica che, richiamandoci al secondo e terzo tropo, vi sono tanti fenomeni quanti sono gli uomini che percepiscono la stessa cosa. Quale è tra queste la rappresentazione più corretta. Anche in questo caso, da tale molteplicità ne consegue la sospensione dell’assenso.

Il nono si riferisce “alla continuità e alla rarità” mentre il decimo si attiene ai fatti morali e riguarda l’educazione, i costumi, le leggi, le credenze e le opinioni dogmatiche, ovvero quanto l’aspetto culturale possa modificare la percezione delle cose stesse.

Attraverso questi tropi, Enesidemo afferma che noi non conosciamo le cose in sé, ma soltanto le sensazioni colte dall’intelletto che “velano”, piuttosto che rivelare, gli oggetti stessi, e tutto ciò che conosciamo sono le nostre impressioni. Anche l’elaborazione delle conoscenze, propria dell’intelletto, è solo elaborazione di impressioni, e pertanto resta una conoscenza soggettiva.

Ai 10 tropi di Enesidemo, Agrippa, filosofo vissuto intorno al I sec d.c, ne aggiunge altri 5

  1. La difformità di opinione
  2. Il regresso all’infinito: ogni proposizione rimanda a un’altra proposizione che la giustifica, ma che deve essere a sua volta giustificata
  3. La relatività delle rappresentazioni. Tutte le nostre rappresentazioni sono relative, in quanto il soggetto è sempre diverso. Ogni esperienza è legata al particolare e unico rapporto del soggetto con il mondo.
  4. L’ipotesi (intesa come proposizione non verificata.
  5. Il diallele o ragionamento circolare ovvero un ragionamento nel quale le premesse derivano dalle conseguenze e le conseguenze dalle premesse, creando un circolo vizioso. Questo perché il criterio di verità o falsità si basa su un sistema di credenze del tutto soggettivo, che è difficile da mettere in questione.

 

Il quinto tropo di Agrippa pone interrogativi sulla possibilità stessa della conoscenza umana. La domanda che qui vien posta avrà delle conseguenze importantissime su tutta la riflessione epistemologica, anche contemporanea. È possibile un sapere che sia libero dai paradossi dell’autoreferenzialità? Il principio di indeterminazione di Heinsenberg, l’epistemologia cibernetica, il Primo teorema dell’incompletezza di Gödel, ci hanno consegnato una immagine della razionalità molto vicina al quinto tropo: non vi è modo di liberarsi dall’autoreferenzialità che è insita in ogni forma di pensiero.

Un curioso caso di rilettura delle istanze scettiche è rappresentato da Filone di Alessandria, un filosofo ebraico del I sec. d.c, rappresentante di quel movimento di pensiero chiamato giudaismo ellenistico che consiste in una rilettura della Bibbia attraverso l’impianto teorico della filosofia greca, in maniera particolare del platonismo e dello stoicismo.

Filone è ricordato per la sua interpretazione metaforica e simbolica dei testi biblici e in uno di essi, il De ebreitate, rilegge i tropi di Enesidemo in funzione delle istanze ontologiche di Platone.

Poiché lo status ontologico degli enti sensibili è il divenire, soggetti al mutamento e privi di stabilità, nulla si può dire su di essi che non sia opinione.

«Tuttavia, poiché noi ci troviamo a essere mossi da quelle rappresentazioni, ora in un modo ora nell’altro, non saremmo comunque in grado di dire nulla di definitivo su alcunché, proprio perché ciò che appare non ha stabilità, anzi è soggetto a molteplici mutamenti di stato e forma»[1].

Poiché l’equivocità della conoscenza sensibile dipende dall’instabilità del mondo fenomenico, l’unica garanzia che possiamo avere, come sottolineato da Enesimeno e Agrippa, dipende dalle condizioni soggettive di chi percepisce. L’instabilità delle rappresentazioni dipende dalle condizioni in cui si trova l’oggetto percepito quindi l’oggetto non può conosciuto in sé e per sé quindi «Così stando così le cose, è giusto accusare di dabbenaggine, di precipitazione e di falsità quelli che sono facilmente portati a fare affermazioni o negazioni su qualsiasi argomento. Se, dunque, la proprietà degli esseri nella loro purezza sono fuori della nostra portata …l’unica conclusione ragionevole possibile, riguardo alla consistenza degli enti sensibile, è l’adozione, al pari di Arcesilao, dell’epochè filosofica.

[1]Filone di Alessiadria, Tutti i trattati del commentario allegorico alla Bibbia, Bombiani, Milano, 2005, p. 965

Nicola Carboni

 

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