Quando un uomo piange. Universi emozionali del pianto nel maschio adulto (parte seconda)

Quando un uomo piange. Universi emozionali del pianto nel maschio adulto (parte seconda)

Che il pianto sia una manifestazione di debolezza è convinzione che non regge più, o quanto meno da sfatare…
 

Quando un uomo piange.
Universi emozionali del pianto nel maschio adulto
(parte seconda)

Il pianto empatico

Che il pianto sia una manifestazione di debolezza, quindi da ascrivere come etichetta o peggio ancora come stigma al sesso debole, è convinzione che non regge più, o quanto meno da sfatare. Anche i maschi piangono davanti a una situazione tragica o a una scena drammatica, seduti nella sala di un cinema o sul divano di casa alla TV. È il cosiddetto pianto empatico che conclude il processo sottostante al coinvolgimento empatico. Insorge quando la persona si identifica con l’altro, con la vittima o con l’eroe in difficoltà, e mettendosi nei suoi panni prova un profondo stato di impotenza e contemporaneamente avverte la totale incapacità a rimediare la situazione (cui sta assistendo). Frustrazione e sofferenza, tenute dapprima a freno (resistenza), cedono di schianto all’emozione (resa) e la tensione si scioglie in pianto. Piangere con e per un’altra persona (personaggio filmico o televisivo, dove immagine e musica contribuiscono ad accrescere la tensione emotiva) esprime con grande efficacia la condivisione dei sentimenti, la vicinanza e la solidarietà con l’altro. E di questo son capaci anche gli uomini, lo son sempre stati e non lo nascondono più, e si sentono finalmente autorizzati a piangere. Da non sottovalutare che il pianto non rafforza solo la percezione di impotenza ma ha anche un effetto paradossalmente contrario: piangere non riduce l’intensità delle emozioni in gioco, talvolta aumenta e acuisce quella intensità. Così come esiste l’empatia per la sofferenza altrui, esiste anche il pianto empatico di gioia. Tipico nel coinvolgimento sportivo e nelle forti amicizie, avviene in contesti complessi (spesso collettivi e di massa ma non necessariamente), implica uno stato emotivo e cognitivo particolare che include l’esistenza di una precedente preoccupazione e il conseguente sollievo finale: quando le vicissitudini dell’altro (eroe, vittima, squadra del cuore e così via) hanno al fine un esito positivo, la persona che ha condiviso la sua (ansiosa) preoccupazione e le sue (presunte) sofferenze inclusi gli sforzi di resistenza (non arrendersi e cedere all’emozione eccessiva), si sente improvvisamente sollevata e scoppia in lacrime. In tutto questo, quando si ha a che fare con l’empatia, gioca un ruolo molto importante il ricordo o meglio la rievocazione-ricostruzione retrospettiva del proprio dolore, oppure delle proprie gioie trascorse. Il pianto empatico, infatti, può accrescere sofferenza o gioia proprio a causa del suo potere evocativo: orientando l’attenzione sui sentimenti e favorendo la rievocazione di fatti e persone ad essi associati, il pianto ha il potere di rafforzare e far rivivere emozioni e ricordi sia negativi sia positivi.

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Il pianto colpevole o di colpa

Un ulteriore uso comunicativo del pianto è quello colpevole o di colpa, strettamente collegato al rammarico di non essere in grado di cancellare il senso di colpa e di riparare al male commesso. Più che pentimento questo pianto dichiara la volontà di accettare la punizione sottomettendosi alla norma infranta ma al contempo chiede clemenza per non aver saputo controllare la propria condotta. Difficile affermare se il pianto colpevole sia prerogativa degli uomini e non piuttosto delle donne. Si può solo osservare che l’espressione di emozioni forti quali vergogna, imbarazzo e colpa tende a ridurre i rischi di rifiuto e aggressione sociale. Miceli Maria, Il pianto (cause e scopi) (2008). In Isabella Poggi (a cura di), La mente del cuore le emozioni nel lavoro nella scuola nella vita. Roma: Armando Editore.

Alessandro Bigarelli

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