Tradizione e opposizione.
Riflessioni su Voglio vederti danzare di Franco Battiato
Uscita nel 1982 nell’album L’arca di Noè, Voglio vederti danzare è una di quelle canzoni che non ha bisogno di presentazioni. É uno dei capolavori di uno dei più grandi artisti italiani: Franco Battiato. Riflettere sui testi del Maestro è un compito assai difficile, da affrontare con estrema umiltà e filosofica meraviglia nei confronti della poeticità e della profondità in essi contenuti.
Come il Socrate di Platone del Simposio, questa canzone ha un aspetto “silenico”con una bellezza e complessità contenuti in una apparente semplicità.
La musica e la danza sono delle costanti umane; in ogni tempo e in ogni luogo l’essere umano ha creato canzoni e balli infondendo in essi significati sociali e culturali. La canzone ci invita a intraprendere un ipotetico viaggio dal deserto del Sahara a Bali all’India, dai Balcani all’Irlanda del Nord, dai regni di sciamani ai Valzer viennesi nella Bassa Padana. Questo viaggio ci restituisce un quadro variegato di diversità, di tradizioni, una ricchezza viva e vibrante.
La danza, in Battiato, ha un profondo significato spirituale come viene sottolineato attraverso il riferimento ai Dervisci rotanti, i discepoli di alcune confraternite del Sufismo Islamico, per i quali, secondo l’insegnamento di Jalal al-Din Rumi, per mezzo di una danza fatta di rotazioni vorticose su se stessi, è possibile aspirare all’unione mistica (questo anche nel pensiero del filosofo armeno Georges Ivanovic Gurdjieff a cui Battiato ha spesso fatto riferimento).
Ha un valore molto simile a quello espresso da Nietzsche in Così parlò Zarathustra, dove, insieme al ridere, è manifestazione della leggerezza opposta allo spirito di gravità, il sacro dire di sì alla vita la cui forma più alta è l’Eterno ritorno che si contrappone alla concezione del tempo lineare e progressivo nel quale si insedia (a livello ontologico e metafisico) il concetto di colpa, il senso di colpa e la coscienza infelice. In questa prospettiva la danza diventa simbolo del frenetico flusso della vita che sempre sgorga da se stessa, quella che i greci chiamavano Zoé, l’essenza stessa della vita che si esplica in un eterno processo di costruzione e distruzione, in opposizione al Bios, la vita di ogni essere che ha inizio e fine. In Grecia è Dioniso, in India, Shiva “Nataraja” (re della danza), la cui danza distrugge e crea allo stesso tempo.
Questa varietà di forme, tradizioni e culture si oppone a quel fenomeno sociale eeconomico che il sociologo George Rizter ha chiamato la Mcdonaldizzazione del mondo, la creazione di ambienti iper-strutturati, razionalmente iper-efficienti, nei quali viene meno qualsiasi differenziazione. Lo store del McDonald diventa paradigmatico di un luogo – non luogo, per usare la terminologia dell’antropologo Marc Augè. Non vi è alcuna differenza fra un McDonald a Milano, a Shanghai, a New York o in qualsiasi altra parte del mondo, ognuno è identico all’altro, impossibile da distinguere. Questo si trasforma in una riproduzione in serie dei luoghi. Già la Scuola di Francoforte, in particolare Max Horkheimer e Theodor Adorno ne La dialettica dell’Illuminismo, avevano paventato i rischi dell’omologazione nell’ambito dell’Industria culturale. Laddove manca la valorizzazione delle differenze, vige l’uniformità del pensiero. Si tratta ovviamente di una “cattiva” uguaglianza in quanto fattore aliente e neutralizzatore delle coscienze, una conformazione di tipo coatto.
Diventa cogente, per ripensare alla nostra contemporaneità, porre a tema delle tematiche del troppo spesso vituperato Hegel a partire dalla sua opposizione al concetto di Totalità come unica identità indistinta e priva di differenze. L’identità intesa come Identität der Identität und der Nichidentität (Identità dell’ Identità e della non Identità), ovvero come dinamica relazione dialettica all’interno della Totalità di cui partecipa come unità di differenti. L’universale concreto è sempre un universalismo delle differenze.
In questo contesto diventa necessario, così come espresso nel testo della canzone, la salvaguardia delle identità e delle Tradizioni. Come dobbiamo intendere e a cosa si riferiva Battiato con il termine “tradizione”? Usando le grammatiche di Heidegger in Essere e Tempo, bisogna distinguere tra Tradition, la tradizione passiva che espropria il futuro in quanto appiattisce le possibilità esistenziali al dominio dell’Eterno Ieri, e Überlieferung, la tradizione scelta liberamente che fa coesistere la consapevolezze delle origini, di un radicamento che apre alle possibilità e alla progettualità futura. L’ Überlieferung non è ripetizione di un passato irrigidito, ma una esperienza vissuta, vivente possibilità per l’avvenire che fornisce la consapevolezza che tutto ciò che viene presentato come unicità e uniformità di agire e di pensare, non è un destino, ma frutto di una scelta.
0 comments on “Tradizione e opposizione. Riflessioni su Voglio vederti danzare di Franco Battiato” Add yours →