Emozioni, amore e dispotismo. La distopia di Equals. Articolo di Nicola Carboni

Emozioni, amore e dispotismo. La distopia di Equals

In un futuro distopico, in seguito a una immane guerra che ha decimato la popolazione umana, si erge il Collettivo che domina in una società di Uguali privati geneticamente di ogni forma di emozione; una…
 

Emozioni, amore e dispotismo. La distopia di Equals

Qui vige l’uguaglianza.
Non conta un cazzo nessuno

Sergente Hartman in Full Metal Jacket

In un futuro distopico, in seguito a una immane guerra che ha decimato la popolazione umana, si erge il Collettivo che domina in una società di Uguali privati geneticamente di ogni forma di emozione; una società privata dell’individualità al fine di creare stabilità e un equilibrio di convivenza perfetto. Uguale educazione, uguali ideali, uguali vestiari. La vita del Collettivo richiede la morte dell’individuo.

In questa società le emozioni sono un pericolo per la stabilità pubblica e coloro che ne sono affetti, perché risvegliati da una malattia, nota come Sos (Switched on Syndrome), devono essere rinchiusi in “centri di recupero per il deficit emozionale neuropatico, i Den, e indotti al suicidio.

Questo è il mondo di Equals, film del 2015 diretto da Drake Doremus, e in questo mondo, i due giovani protagonisti, Silas e Nia scoprono l’amore diventando di fatto nemici pubblici.

La tematica dell’amore (e delle emozioni) in opposizione a governi dispotici totalizzanti è un classico dei romanzi distopici: pensiamo ad esempio alla storia fra John e Lenina nel “Il nuovo mondo” di Huxley o la relazione fra Winston e Julia in 1984 di Orwell. Le emozioni, bandite dal nuovo ordine, diventano un atto di ribellione perché aprono uno squarcio di individualità in un oceano di uniformità imposta. Parlare di individualità significa però parlare di diversità come valore. Da un punto di vista psicologico non è possibile avere due persone esattamente uguali e Non c’è ingiustizia più grande che fare di parti uguali tra diseguali.

A livello filosofico assistiamo a due tendenze opposte, una di tipo nomotetico che tende, attraverso la categorizzazione, a trarre dai casi particolari, leggi universali, l’altra di tipo ideografico che tende alla valutazione delle specificità dell’individuo. In questo possiamo leggere una opposizione antica quanto la storia della filosofia, la ragione contro l’emozione intesa come ostacolo per l’attività del pensiero. Nel pensiero antico è emblematico, ad esempio, il concetto di atarassia di matrice stoica e epicurea, intesa come “la perfetta pace dell’anima che nasce dalla liberazione dalle passioni“; nel pensiero moderno è impossibile prescindere dalla netta separazione cartesiana fra la res cogitans e res extensa.

Da un punto di vista puramente psicologico, ragione ed emozione sono davvero due ambiti così separati? La risposta è  negativa. Sia le teorie attivazionali – cognitive [Schacther – Singer], che quelle dell’appraisal [Frijda – Lazarus] sottolineano come le informazioni non sono dotate di un significato emotivo intrinseco, ma lo assumono a seguito dei processi cognitivi di attribuzione che vengono messi in atto dalla persona. Lo psicologo olandese Nico Henri Frijda afferma ad esempio che le emozioni sono attivate dai significati e dai valori che un individuo attribuisce ai singoli eventi. Tale significato situazionale è la base per spiegare le diverse emozioni, le diverse intensità e la dimensione soggettiva delle emozioni stesse.

Arnold Lazarus ipotizza che la valutazione degli stimoli emotigeni hanno sempre una rilevanza in relazione ai bisogni della persona introducendo, oltre alla componente cognitiva, una componente di tipo motivazionale. Ipotizza due componenti in merito alla valutazione delle emozioni: in quella primaria il focus è diretto verso la rilevanza dell’evento per interessi e scopi personali, in quella secondaria il focus è diretto verso la capacità di coping (la capacità di gestione dell’evento) e le aspettative future. Interessante è anche la teoria di Klaus Sherer secondo la quale i processi valutativi alla base delle emozioni corrispondono ad una serie di controlli che seguono un ordine preciso: novità, piacevolezza, rilevanza per i bisogni della persona, potenziale di adattamento, compatibilità dello stimolo alle norme sociali.

Questa breve carrellata dimostra come all’interno delle emozioni vi sia una notevole componente di tipo cognitivo. In equal modo esiste una forte componente emotiva all’interno del processo cognitivo.

Si fa qua riferimento al concetto del affect bias. Per “bias” si intende tutta una serie di errori di tipo strutturale del pensiero che compiamo nell’atto di approcciarci alla complessità del reale. Come ha affermato lo psicologo ed economista Herbert Simon abbiamo una razionalità limitata che non può contemplare e analizzare tutte le variabili che si presentano in una data situazione. La soluzione dei problemi che la ragione umana riesce a fornire per destreggiarsi nella quotidianità, non è di tipo algoritmico ma euristico. I bias fanno parte di queste soluzioni che non saranno mai ottimali, ma “buone abbastanza”. Per affect si intende l’aspetto direzionale che connota l’emozione, quel che ci fa dire “mi piace” “non mi piace” di fronte a uno stimolo. Secondo l’ipotesi dell’euristica dell’affetto durante un processo di tipo decisionale si fa ricorso a tutta una serie di etichette positive o negative pregresse associate in maniera più o meno consapevole, alla rappresentazione degli stimoli. In questo modo l’emozione si trasforma in “informazione” entrando nel processo cognitivo.

Come molto spesso accade non esiste una soluzione semplicistica per approcciarsi alle grandi problematiche di tipo filosofico e psicologico. Alla luce di tali recenti studi la divisione ragione/emozione non è un paradigma valido.

È davvero interessante notare come la maggior parte delle distopie faccia un largo uso di tale paradigma, come se la soppressione dell’individualità, l’imposizione di un pensiero unico di tipo razionale (o supposto tale) sia volto verso la massificazione. L’uomo-massa è un essere umano sradicato da  qualsiasi forma di individualità che ne determini una differenziazione, ridotto a mero numero da usare o sacrificare per un bene superiore.

All in all, you are just another brick in the wall

Nicola Carboni

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